Quattro motivi e un verbale allegato di conversazioni in carcere del dicembre 2015 che riporta la frase “Ne faccio un altro”, per tornare subito indietro: “Mi pento, mi pento”.
Si sviluppa così il ricorso in Corte di Cassazione per la sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro che ha condannato lo scorso novembre a 12 anni di reclusione Nicholas Sia (ora 24 anni), imputato per l’omicidio consumato a Catanzaro il 24 ottobre 2015 e che ha provocato la morte di Marco Gentile (LEGGI QUI LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA A 12 ANNI). I familiari della vittima sono rappresentati in giudizio dagli avvocati Antonio Ludovico, Alessio Spadafora e Arturo Bova.
E’ il sostituto procuratore generale del capoluogo, Raffaella Sforza, a ricostruire un altro apparato argomentativo e a consegnarlo alla Corte di Cassazione. Obiettivo del ricorso: annullare la sentenza impugnata e rimettere sul tavolo un altro processo. Quelli precedenti sono stati un’altalena di risultati, almeno sul piano della quantificazione della pena: si passa da 17 anni stabiliti in primo grado, 16 in Appello, poi il passaggio in Cassazione che chiede una nuova valutazione tenendo conto dello stato d’ira e il possibile rilievo del “comportamento di sfida proveniente di Gentile, per poi finire con una condanna a 12 anni. Il processo si svolge con rito abbreviato, che provoca la riduzione di un terzo della pena.
Sentenza alla mano, la Procura generale inizia a rimodellare la “provocazione”, attenuante provocata da diversi episodi di “prevaricazione” ed utilizzata dai giudici di secondo grado per giustificare la reazione di Sia, culminata la sera del 24 ottobre. “Acquisizioni generiche che, fatta eccezione per l’episodio della play station, non indicano con precisione i soggetti che erano soliti burlarsi di Sia”, specifica la Procura. Dunque, “sarebbe stato necessario procedere alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale ed approfondire” questo aspetto. In sostanza: “Appare innegabile che non tutti gli episodi descritti nella sentenza fossero riconducibili alla vittima”, scrive il magistrato, che ritiene l’omicidio una reazione sproporzionata, eccessiva e totalmente inadeguata anche rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine. Detto in termini giuridici: da escludere è il nesso di causalità tra l’offesa e la reazione.
Per l’accusa, da rivalutare è anche il trattamento sanzionatorio nella parte in cui riduce l’aumento in continuazione da un anno e sei mesi (determinando il parziale annullamento della sentenza) ad un anno: elemento che sarebbe stato già non più appellabile.
Terzo motivo: il minimo edittale irrogato dal giudice, per la Procura, non è adeguato alla gravità del fatto, in considerazione del grado del dolo, della premeditazione e la modalità dell’accaduto. E ancora: “Non risulta che l’imputato abbia manifestato resipiscenza rispetto al fatto”. Al contrario, l’accusa allega un colloquio in carcere del 23 dicembre 2015 in cui l’imputato (difeso dagli avvocati Giancarlo Pittelli e Fabrizio Costarella) avrebbe confidato ai familiari di essere pronto a tornare a Catanzaro per “farne un altro”. Affermazione che viene immediatamente ammonita dai familiari dell’imputato, il quale continua dicendo “mi pento, pento”.
L’ultimo aspetto del ricorso è riservato a quello che il magistrato definisce come la “negativa personalità e la sua capacità a delinquere” di Sia, che, sostiene la Procura, “mai ha chiesto scusa alla famiglia della vittima”.
ed.cor.
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