di STEFANIA PAPALEO
Insulti, percosse, minacce a suon di nomi di esponenti della criminalità organizzata. Restano ferme le accuse mosse dalla Procura della Repubblica di Catanzaro a un avvocato di 48 anni arrestato, lo scorso mese di agosto, per maltrattamenti ai danni della moglie. Così il cerchio si chiude con un avviso di conclusione delle indagini spedito all’indirizzo dell’abitazione di Lido presso la quale il professionista si trova ancora sottoposto agli arresti domiciliari. In calce al provvedimento la firma del sostituto procuratore, Irene Crea, sulla cui scrivania la scorsa estate era finita una dettagliata relazione investigativa stilata dai poliziotti del Commissariato di Catanzaro Lido, che avevano raccolto la denuncia presentata l’8 agosto dalla donna vittima del marito violento, finito in manette su ordine del gip, Paolo Mariotti, appena all’indomani dell’entrata in vigore della legge 69/19 (c.d. “Codice Rosso”).
Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, la ricostruzione dettagliata di anni e anni di violenze, le ultime consumate anche alla presenza della figlia ancora in tenera età, la cui nascita aveva rappresentato l’unica parentesi in quel vortice che aveva ormai risucchiato la donna. Insomma, un matrimonio da incubo, a causa soprattutto dell’abuso di cocaina da parte dell’uomo che, col passare del tempo, sarebbe diventato sempre più aggressivo, aveva raccontato la donna alla polizia, prima, e al magistrato, dopo, contribuendo a inchiodare il professionista che, al culmine di un’ennesima lite, aveva costretto la vittima a fuggire di casa, decidendo di denunciarlo e riappropriarsi così della sua vita.
Da lì la decisione della Procura di non perdere tempo e spedire sulle tracce dell’avvocato i segugi del Commissariato di Lido, che, al termine di una serie di accertamenti, avevano raccolto elementi tali da indurre il giudice per le indagini preliminari a trascinare l’uomo dietro le sbarre del carcere di Siano, in considerazione del “rischio concreto di una reiterazione di atti violenti, sia nei confronti della moglie che dei familiari della stessa”. Misura cautelare affievolita subito dopo dallo stesso gip, che aveva concesso al professionista i domiciliari, al termine dell’interrogatorio di garanzia sostenuto dall’indagato alla presenza del suo difensore di fiducia, l’avvocato Elio Bruno. E sarà sempre quest’ultimo, adesso, a valutare, entro venti giorni dal provvedimento di chiusura delle indagini notificato ieri, l’opportunità di chiedere al pm di interrogare il proprio assistito o, in alternativa, di depositare una memoria difensiva, finalizzata a far crollare la ricostruzione accusatoria formulata sulla base della denuncia della vittima, assistita, a sua volta, dall’avvocato Eugenio Perrone. E solo a quel punto la Procura potrà decidere se e come procedere nell’inchiesta a carico dell’avvocato indagato, ovvero con una richiesta di rinvio a giudizio da spedire al vaglio del gup o con una richiesta di archiviazione parziale o totale qualora dovessero emergere elementi tali da ribaltare la brutta vicenda che – c’è da giurarci – ha già lasciato segni indelebili nell’anima di tutti i protagonisti.
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