Come si sopravvive a un’educazione criminale che ti incasella sin da subito e non ti lascia via di fuga? E come sopravvivere al carcere dove valgono regole altre, diverse da quelle che regolano la vita “fuori”.
A spiegare questi percorsi di vita così estremi è Sergio Ferraro, detenuto dapprima a Catanzaro e ora a Spoleto e che, proprio in carcere, si è laureato in Sociologia presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro, in un lavoro etnografico, o meglio “autoetnografico” dal titolo "Processi di risocializzazione dal clan al carcere” edito da Rubbettino.
Il libro verrà presentato il prossimo sabato 23 marzo a Vibo Valentia, alle ore 18, presso la libreria “Cuori d’inchiostro”.
Al dibattito, moderato da Rossana Caridà docente di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro, prenderanno parte il prof. Charlie Barnao, docente di Sociologia dei processi culturali dell’Università Magna Graecia di Catanzaro; l’avvocato Francesco Iacopino, Presidente della Camera Penale di Catanzaro; l’avvocato Carlo Petitto e l’Editore Florindo Rubbettino.
Quante vite può vivere un uomo attraversando situazioni che di volta in volta lo modificano imponendogli sempre nuovi adattamenti? È questa la domanda cruciale che il libro di Ferraro si pone. Usando le basi concettuali della sociologia, l’Autore ha scritto un’autoetnografia che ripercorre i principali processi di socializzazione e risocializzazione della propria vita, segnato da buoni e cattivi maestri, da luoghi e contesti che lo hanno spinto a riconoscersi un tempo nella figura di un criminale e oggi in un uomo che investe sul proprio futuro attraverso lo studio, la spiritualità e la condivisione della propria esperienza. Ferraro si concentra in particolare sulla descrizione e l’analisi dei principali processi di cambiamento di status e di ruolo all’interno della società malavitosa e nei suoi ininterrotti ventitré anni di carcerazione. Originario di Villa Literno, entra in modo strutturale a far parte del clan dei Casalesi a diciotto anni. Il racconto della scelta di identificare se stesso nell’immagine di un criminale quasi sentendosi all’interno di una narrazione cinematografica; la descrizione dei riti di affiliazione intra ed extracarcerari; le regole stringenti da rispettare per resistere all’interno del clan attivano le stesse risorse utili alla sopravvivenza alle quali Ferraro ha attinto dopo che, ancora giovanissimo, è stato arrestato. Il clan e il carcere diventano così le due versioni di quella che Goffman ha definito “istituzione totale” nelle sue caratteristiche di pervasività e distruttività degli slanci individuali e liberatori degli esseri umani.
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