Prosegue l'appello del maxi-processo di 'Ndrangheta Aemilia nell'aula bunker del carcere bolognese della Dozza.
Il sostituto pg Lucia Musti in udienza ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado per Graziano Schirone, imputato per violazione delle leggi sulle armi, mentre un altro rappresentante della pubblica accusa, Valter Giovannini, ha affrontato la posizione di Maria e Giuseppe Curcio, moglie e suocero di Giuseppe Giglio, imprenditore ritenuto un personaggio chiave negli affari delle cosche in Emilia e poi divenuto un importante collaboratore di giustizia; e poi Antonio Giglio e Francesco Giglio, rispettivamente fratello e padre dell'imprenditore, già processato in abbreviato.
Si tratta di imputati condannati per il reato di interposizione fittizia societaria tendente a nascondere la reale riferibilità proprio a Giuseppe Giglio. Giovannini ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado per tutti, affermando che le prove della consapevolezza a delinquere vanno ricercate "nel 'familismo' da valutare come tendenza a considerare la famiglia intesa come sistema di parentele legate fortemente da un vincolo di solidarietà sempre prevalente sui diritti altrui, ivi compresi quelli della collettività".
In questo contesto, ha aggiunto, "sono stati commessi reati economici di natura predatoria e con forme di vero e proprio gangsterismo societario".
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