di GABRIELE RUBINO
Nessuna rivoluzione copernicana, piuttosto un cambio di prospettiva nel metodo scientifico da utilizzare. Il modello di screening tossicologico è indicato nelle linee guida internazionali di tossicologia clinica applicata e descrittiva. Quello dell’oncologo Montilla è proprio un approccio di screening onco-tossicologico che dimostra che i cancerogeni possono essere identificati su specie umana e non solo con indagini retrospettive, ma identificando in prospettiva le sostanze che possono provocare mutazioni con una tecnica biologica semplice e lineare. Applicato al caso dei militari delle missioni di pace dei Balcani significa, per la prima volta, trattarli come persone contaminate. Eliminare i metalli tossici presenti nel loro organismo vuol dire curarli.
LE FASI DEL PROTOCOLLO- Quello del dottor Montilla rappresenta in sintesi un modello di trattamento clinico che fa ricorso a tecniche diagnostiche avanzate di nanotecnologia, mirate terapie di decorporation (decontaminazione) e analisi complete sui militari italiani contaminati da metalli tossici e nucleotidi radioattivi. Le fasi sono essenzialmente tre. Il paziente viene sottoposto ad esami diagnostici tossicologici mirati per la ricerca di biomarcatori e agenti cancerogeni e mutageni riconosciuti in bioaccumulo cronico. Dopodiché si procede al trattamento infusionale terapeutico con farmaci di detossificazione. Con infusioni programmate in un determinato ciclo temporale si eliminano i metalli tossici e si controlla la qualità e la quantità degli analiti tossici eliminati. La seconda fase è quella del controllo del quadro clinico tossicologico e del risultato ottenuto in termini di recupero del danno e dell’abbattimento dei metalli tossici precedentemente individuati. Infine, il terzo passaggio, sulla base delle nuove tecniche di tossicogenomica e di genetica molecolare, è rappresentata dalla valutazione del potenziale rischio di mutazioni attraverso l’uso di test genetici mirati.
I RISULTATI OTTENUTI FINORA SUI PAZIENTI- L’oncologo assicura che, nei circa trenta pazienti trattati, non solo è significativamente diminuita la presenza di metalli tossici ma nella totalità dei casi si è osservata la riduzione dell’impatto negativo del danno da esposizione. «Con questo sistema clinico di effettuazione terapeutica e disancoraggio dei metalli tossici si è realizzato – osserva Montilla- un incredibile passo in avanti nel miglioramento di alcuni parametri clinici dei soggetti come: immediato incremento nell’orologio biologico, recupero dell’efficienza muscolare e dell’ossigenazione, rigenerazione neurocognitiva ed elasticità mentale, funzioni sensorie più attive, soppressione della neuropatia cronica e dolore cronico in molti pazienti con immediato recupero di energia».
Ma il discorso potrebbe presto ampliarsi. «Questa prospettiva scientifica potrebbe migliorare – prosegue l’oncologo- la comprensione meccanicistica dell’oncogenesi portando la disciplina oncologica sempre più vicino alla comprensione dell’aberrazione molecolare centrale dei tumori da impatto ambientale». Questo significa che la replicabilità del protocollo non è confinata al solo utilizzo militare ma potrebbe estendersi anche ai civili.
I FARMACI SOSTENIBILI- La classe dei farmaci utilizzati e funzionali alla decontaminazione sono agenti complessanti: degli antidoti al veleno-cancerogeno-mutageno. Il loro costo è assolutamente sostenibile. Un centinaio di euro per una confezione che consente tre infusioni. Per tanti anni l’apparato statale si è irrigidito su un approccio basato sul metodo osservazionale. «Il solo criterio osservazionale, statistico, descrittivo per identificare i fattori di rischio correlabili in un sospetto avvelenamento cronico da metalli tossici – ha chiosato Montilla- non ha rappresentato la vera soluzione a completare la ricerca delle cause e di quei percorsi diagnostici terapeutici necessari sui militari in missione in Bosnia ed Erzegovina».
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