I sostituti procuratori della Dda di Reggio Calabria Walter Ignazitto e Diego Capece Minutolo hanno notificato l'avviso di conclusione indagini alle 25 persone coinvolte nell'inchiesta denominata "Operazione Sbarre" che, a settembre, ha consentito ai carabinieri di smantellare due piazze di spaccio gestite da altrettante distinte organizzazioni nella zona sud della città.
Uno dei due gruppi di spacciatori, guidato da Luigi Chillino e Gabriele Foti, era più organizzato: ogni componente, infatti, aveva ruoli specifici, turni e orari fissi per presidiare la piazza di spaccio con relativo "stipendio". I carabinieri hanno trovato pure la contabilità del gruppo solito a comunicare attraverso pizzini o schede telefoniche intestate a extracomunitari non residenti. L'altro gruppo, invece, era diretto da Antonio Sarica e aveva la propria base operativa tra il rione Sbarre e il viale Calabria. Più ridotto come numero di componenti e mezzi operativi ma in rapporti con soggetti vicini a alle famiglie di 'ndrangheta Tegano e Molinetti. Proprio dalle cosche, secondo quanto emerso, si rifornivano gli indagati muovendosi con agilità nel sottobosco criminale reggino. Sarica era affiancato da Andrea Pennica, detto "Barone" o "Anderson", e Gianluca Mirisciotti conosciuto con il soprannome di "Pupo".
Grazie all'inchiesta "Sbarre", coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri, i carabinieri hanno scoperto che, nel settembre 2017, Giuseppe Chillino, Anouar Azzazi, Gabriele e Andrea Foti avevano sequestrato due minori "accusati" di aver rubato all'organizzazione una discreta quantità di droga poi rivenduta a uno degli indagati. In sostanza, per gli inquirenti, i sequestratori avevano costretto i due a rimanere per diversi giorni all'interno di una abitazione. Minacciati con le armi, legati e imbavagliati, i ragazzini sono stati costretti a confessare il furto dello stupefacente fino a quando Sarica, promotore dell'altro gruppo, non s'impegnò ad assumere "in proprio" il loro debito, versando la somma in favore dei sequestratori. Sarica. secondo i pm, era "in preda ad un vero e proprio delirio criminale". In alcune intercettazioni, infatti, si era paragonato addirittura "al boss di Cosa Nostra Totò Riina- avevano scritto i magistrati nell'ordinanza - proponendosi di muovere dal quartiere Gebbione per estendere i suoi loschi traffici a tutta la città di Reggio, così come Riina aveva fatto a Palermo, partendo dalla piccola Corleone".
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