Si è conclusa con 8 rinvii a giudizio e 6 proscioglimenti l'udienza preliminare del processo agli agenti della polizia penitenziaria di Reggio Calabria accusati di tortura e lesioni personali aggravate ai danni di un detenuto di origine campana, Alessio Peluso, 30 anni, esponente di spicco della camorra.
Lo ha deciso il gup Vincenzo Quaranta che ha disposto il non luogo a procedere nei confronti degli agenti Alessandro Gugliotta, Carmelo Vazzana, Diego Ielo, Angelo Longo, Stefano Munafò e Antonino Biondo. Rinviato a giudizio invece il principale imputato, il comandante della polizia penitenziaria Stefano La Cava al quale, oltre alla tortura e alle lesioni, sono contestati i reati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, omissione di atti d'ufficio, calunnia e tentata concussione. Coordinata dal Procuratore Giovanni Bombardieri, dall'aggiunto Giuseppe Lombardo e dal sostituto Sara Perazzan, l'inchiesta ha ricostruito quanto sarebbe avvenuto nel carcere il 22 gennaio 2022 quando il detenuto vittima del pestaggio, ripreso dalle telecamere interne, aveva messo in atto una protesta, rifiutandosi di rientrare in cella dopo l'ora d'aria.
A denunciare le violenze subite, a distanza di alcuni giorni, era stato lo stesso Peluso togliendosi la maglietta nel corso di un collegamento in videoconferenza col Tribunale di Napoli durante un processo e mostrando i segni delle percosse ai giudici, che hanno poi segnalato i fatti alla Procura reggina. Da qui le indagini hanno portato agli arresti di alcuni poliziotti della penitenziaria. Il processo in aula bunker, davanti al Tribunale di Reggio Calabria, inizierà il 20 novembre per il comandante La Cava e per gli altri imputati rinviati a giudizio. Si tratta degli agenti Fabio Morale, Domenico Angelo Cuzzola, Pietro Luigi Giordano, Placido Giordano ed Alessandro Sgrò, del medico Sandro Parisi e dell'infermiere Carlo Paga. Gl ultimi due non rispondono dell'aggressione fisica e delle violenze ma di "depistaggio" perché secondo gli inquirenti avrebbero affermato il falso "ostacolando e sviando le indagini in ordine al pestaggio del detenuto".
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