Regionali. Francesco Pitaro, l'avvocato prestato alla politica: “Il mio impegno con Callipo per una Regione che volta pagina"

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images Regionali. Francesco Pitaro, l'avvocato prestato alla politica: “Il mio impegno con Callipo per una Regione che volta pagina"
Pippo Callipo e Francesco Pitaro
  29 dicembre 2019 13:46

 
 di STEFANIA PAPALEO
 
Francesco Pitaro, avvocato di 46 anni di Catanzaro,  è in corsa per un seggio in Consiglio regionale nel Collegio Centro della Calabria (Catanzaro-Crotone- Vibo Valentia) con la lista “Io resto in Calabria” - Pippo Callipo Presidente. Il professionista, che da anni conduce importanti battaglie civiche con l’Associazione “Il Pungolo", ha deciso adesso di fare di più, spinto dalla convinzione che una nuova Calabria è possibile.
 
Avvocato Pitaro, che cosa l’ha spinta ad accettare la candidatura?
 
“Finalmente c’è qualcuno, Pippo Callipo, che chiama all’impegno politico il mondo associativo, per cui, alla sua proposta di far parte di un progetto di cambiamento per innescare in Calabria sviluppo in clima di trasparenza e piena legalità, ho aderito”.
 
Quali sono le premesse?
 
“Parto dall’idea che la Calabria è nostra, non di speculatori, "prenditori" e criminali! Non di chi l’ha finora disprezzata con politiche di rapina delle risorse o con metodi assistenziali e clientelari che riducono il cittadino a suddito e scambiano i diritti per favori. Non possiamo più dare deleghe in bianco, dinanzi alla condizione di grave criticità delle nostre città: i giovani scappano, perché qui non c’è futuro, e i diritti dei cittadini sono spesso vanificati da una pubblica amministrazione inefficiente, quando non condizionata da illegalità e criminalità…”.
 
Passiamo ai fatti concreti. Quali sono le proposte per una Calabria diversa?
 
“Potrei enumerare decine di proposte per affrontare i problemi che interessano l’area centrale della Calabria, Catanzaro e le due città, Crotone e Vibo, della vecchia Provincia, ma mi preme segnalare che se questa volta non sconfiggiamo le metodologie della politica politicante, poi non potremo neppure lamentarci. La prossima legislatura sarà decisiva. O la Regione, con una guida capace di coinvolgere il meglio della Calabria, recupera i concetti della programmazione delle risorse e della partecipazione dei cittadini, o rischia il default. Dinanzi a uno scenario regionale pessimo, come tra l’altro si evince dalle importanti inchieste giudiziarie, e a una Calabria che non conta più nulla nel Mezzogiorno e in Italia, abbiamo il dovere di assumerci la responsabilità del cambiamento. Perciò ho colto al volo la proposta di candidarmi con "Io resto in Calabria".  Di Callipo, imprenditore di successo mondiale che in questa sfida ci mette la faccia, mi convincono il desiderio di far cambiare passo alla Regione, che oggi è un ostacolo per la Calabria, invece che un facilitatore di sviluppo, e di rompere, attraverso una battaglia di legalità, il pregiudizio che insiste nell’immaginario collettivo per cui la Calabria è mafia sottosviluppo. La nostra, invece, è una regione con una gloriosa storia millenaria e dalle grandi potenzialità ambientali, storiche, culturali ed artistiche purtroppo non adeguatamente valorizzate…”.
 
La priorità nella sua agenda elettorale?
 
"Uno degli obiettivi è ridare ruolo e voce all’area centrale, che oggi è il ventre molle della Calabria. Se l’area centrale rimane così com’è, non solo Catanzaro è destinata a restare un capoluogo fantasma, ma pagano un prezzo altissimo anche Crotone, Vibo, Lamezia, Soverato, le aree interne e i centri costieri. Se l’area centrale non esprime politiche di sintesi degli interessi generali e non dà impulsi economici, politici ed istituzionali, andranno avanti, come sta accadendo, le inevitabili spinte centrifughe per cui Reggio città metropolitana dialoga soprattutto con Messina e Cosenza con la Basilicata e la Campania. Agendo con intelligenza e superando gelosie localistiche, dobbiamo provare a inglobare nell’area centrale, facendoli diventare parti di un’insieme coeso, non solo Catanzaro e Lamezia, ma anche il Crotonese e il Vibonese, rappresentativi di storie, economie e peculiarità che debbono, messe assieme, dare lo slancio necessario allo sviluppo che alla Calabria serve”.
 
C’è un altro tema che giudica importante?
 
“In Calabria abbiamo una sanità che non garantisce il diritto alla salute dei cittadini, anche perché l’offerta sanitaria non è rapportata al reale fabbisogno. E' perché mancano attendibili studi epidemiologici che diano serietà ai Programmi operativi (Piani di Rientro) approvati dai commissari negli anni. Occorre, poi, fare i conti con i fatti accaduti nell’Asp di Catanzaro, per i quali i commissari prefettizi hanno chiesto il dissesto finanziario, e col grave disavanzo delle due Aziende ospedaliere, la Mater Domini e il Pugliese, sottoposte entrambe al Piano di rientro ai sensi della legge n. 208 del 2015. Occorre uscire dalle beghe locali e il coraggio di volare alto per avere una sanità che non deleghi al privato quasi tutte le specialità, perché incapace di assumere decisioni forti che potrebbero intaccare interessi di bottega. La Calabria continua ad avere la maglia nera per i Livelli essenziali di assistenza. Nonostante siano trascorsi dieci anni di commissariamento, non si raggiunge il livello minimo previsto dalla griglia Lea (136/160 livello minimo accettabile). La sanità pubblica ha subito la più grande sconfitta per mano di una struttura commissariale e di un dipartimento della Regione che, anziché governare i processi di programmazione e controllo, si è lasciata soverchiare dagli eventi. Il disavanzo di 213 milioni di euro è costituito, per una buona parte, dagli interessi passivi, dalle spese legali e dalle procedure esecutive che gravano sui ritardati pagamenti dei fornitori. Al momento, l’addizionale regionale che grava su tutti noi, e che è al massimo storico, è sufficiente appena a pagare questi oneri e non certo a garantire la copertura dei Livelli essenziali di assistenza. Un grande guaio! Se si legge l’ultima relazione del Tavolo di monitoraggio (MEF Ministero salute ) i rilievi più gravi si riferiscono al disordine dei bilanci aziendali, e manca l’Asp di Reggio. Allora, mi chiedo come sono state rilevate le informazioni contabili visto che, per esempio, Il debito pregresso al 31.12.2018 non è definito, in quanto pare che non ci sia coerenza tra i dati caricati sulla PCC (Piattaforma della Certificazione dei Crediti) ed i partitari aziendali (elenco delle fatture da pagare). L’indefinitezza del reale ammontare delle debito commerciale, non può esistere in un sistema sanitario che da 10 anni è in mano a commissari, sub sommissari ed advisor contabili pagati profumatamente. Mi chiedo, ancora, come sia possibile che un sistema unico informatico regionale, finalizzato alla messa in rete di tutte le informazioni contabili e dei flussi informativi da inviare al Ministero per la verifica dei LEA, pagato con i fondi comunitari e che ha delle potenzialità incredibili, sia solo parzialmente operativo…”.
 
Una sanità allo sfascio, dunque.  Quale la strada da percorrere?
 
“C’è parecchio da lavorare, in quanto le responsabilità non sono solo dei commissari, ma coinvolgono anche i singoli dirigenti che si sono succeduti all’interno di questo sistema in cui prevale la disorganizzazione organizzata e che hanno dimostrato inadeguatezza nel programmare e controllare le disposizioni date ed i risultati raggiunti dalle Aziende della sanità in Calabria. Uno degli sport più praticati negli ultimi 10 anni di commissariamento è stato quello di favorire la fuoriuscita dei più bravi primari dal pubblico e spingerli verso il privato, per una serie di ragioni che non sono solo economiche ma, essenzialmente, di concreta possibilità di esercitare la professione nella quale i medici hanno investito la loro vita. Se nel pubblico ad un bravo chirurgo gli fai fare 2 o massimo 3 interventi al mese, magari perché le sale operatorie per carenze organizzativa non sono disponibili, quello scappa, cercando rifugio in una struttura privata che lo lascia lavorare al meglio, offrendogli personale altamente professionalizzato e attrezzatura all’avanguardia, e gli consente di praticare la chirurgia raggiungendo il numero di 3 interventi giornalieri anziché 2 mensili. Tutto a spese, comunque, del servizio sanitario regionale che, anziché organizzarsi, preferisce acquistare quelle prestazioni dal privato”.
 
E’ d’accordo sulla costituzione dell'azienda unica a Catanzaro con la fusione del Pugliese e dell'ex Policlinico Mater Domini?
 
“L’integrazione è uno dei 24 obiettivi del Commissario ad acta. E va fatta senza pasticci. E’ da trent’anni che si parla dell’integrazione tra ricerca, didattica e assistenza, mentre si continua ad emigrare per banali patologie e ben 320 milioni di euro finiscono nella sanità lombarda emiliana e veneta. Uno scandalo! L’integrazione va fatta e va allargata a tutta la regione. L’esempio della Toscana dovrebbe guidare l’integrazione dell’Università Magna Grecia con il Servizio sanitario regionale. D’altra parte, i nostri studenti di medicina come possono meglio qualificarsi, se dispongono di un numero esiguo di posti letto per fare tirocinio? Come si può sperare di diventare un eccellente chirurgo, se i ricoveri sono limitati e di basso interesse? Come si può diventare capaci di intervenire in urgenza, se l’Azienda Mater Domini è carente di pronto soccorso? Per preparare come si deve i nostri studenti sono necessari bravi professori e una struttura ospedaliera plurispecialistica che fa grossi numeri di ricoveri. Non c’è dubbio: è urgente rivedere l’intero sistema sanitario, ma con responsabilità e coraggio”.

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