A giugno l’operazione al femore all’ospedale di Soverato. Dimesso ‘a casa’ dopo pochi giorni e senza alcuna autorizzazione dell’Asp di Catanzaro né al ricovero nella struttura per riabilitazione extraospedaliera (pur essendoci il budget) né con dimissioni protette. È il calvario subito da un paziente di 79 anni e dalla sua famiglia. Un caso di quando i diritti vengono negati. La moglie e il figlio che vivono in Calabria hanno problemi di salute, se ne occupa a distanza la figlia (dipendente della Regione Lombardia, che peraltro lavora in ambito sanitario) che a La Nuova Calabria definisce la situazione “scandalosa”. Solo da poco si è riusciti a ottenere un ricovero gratuito in una struttura privata, nonostante l’ente pubblico abbia fatto finta di nulla.
La figlia del paziente racconta: "Avevo già letto delle disavventure che subiscono i pazienti dell’ASP di Catanzaro che necessitano di trattamenti riabilitativi ma non immaginano che si potesse arrivare al punto che una persona anziana, operata da pochi giorni all’Ospedale di Soverato per frattura di femore, in seguito ad una caduta dovuta probabilmente per un attacco ischemico, per come poi dimostrato dalla TAC, venisse dimessa a casa con prescrizione di assistenza domiciliare. A parte la condizione familiare che non permette un trattamento a domicilio per soli 40-50 minuti al giorno, perché poi non ci sarebbero altre figure in grado di assisterlo, ma come è possibile che, con le patologie intervenute, non si disponga il ricovero in una struttura di riabilitazione, almeno estensiva, per cercare di recuperare al massimo la funzionalità residua e limitare i danni permanenti?”.
La donna prosegue: “Noi familiari abbiamo dovuto cercare dove poter sistemare nostro padre, individuando nel reparto di Riabilitazione del San Vito Hospital, l’unica struttura più vicina al comune di residenza. Il ricovero è stato possibile solo in forma privata perché la struttura nonostante fosse accreditata per 20 posti letto di riabilitazione estensiva, la convenzione con l’ASP di Catanzaro è per meno della metà dei posti letto, naturalmente tutti occupati trattandosi dell’unica struttura di riabilitazione residenziale accreditata in tutto il distretto socio- sanitario di Soverato. Incredibile, ma non finisce qui lo stupore perché abbiamo poi appurato che mio padre ha potuto usufruire delle più innovative ed alte tecnologie nel campo della riabilitazione come apparecchiature robotiche per gli arti inferiori e superiori nonché apparecchiature sofisticate per il recupero cognitivo. Cose per noi viste solo nei grandi centri sanitari della Lombardia che mai avremmo potuto pensare di trovare in una ridente cittadina distante pochi chilometri da Soverato”.
E ancora: “Tutto questo non è giusto per i cittadini calabresi che ormai devono emigrare per ogni minimo bisogno di salute mentre sulla stampa si legge che i fondi destinati a rilanciare la sanità nella nostra regione rimangono nei cassetti e che continuiamo ad essere sempre ultimi nell’assicurare i livelli essenziali di assistenza perché non si spendono i fondi che lo Stato invia, provocando quindi l’incremento della emigrazione sanitaria. Ma è possibile che per il recupero di una frattura di femore o di un ictus si debba prendere il treno e l’aereo per curarsi solo perché non si è in grado di pianificare l’assistenza territoriale attivando più strutture o almeno convenzionando quelle poche che esistono? E non mi si venga a dire che ci sono grandi progetti o che siamo reduci da 14 anni di commissariamento quando non si riescono a dare minime risposte come nel caso che ha investito la nostra famiglia ma chi sa in quanti altri casi di persone che non hanno più nemmeno la forza di denunciare i disastri della sanità nella nostra regione dove si muore per un’ambulanza che non arriva o se arriva non c’è il medico, dove per fare una indagine strumentale o una visita ci vogliono mesi o anni. Speriamo che chi di dovere provveda urgentemente a rendere vivibile la condizione degli ammalati calabresi”.
Visto che la sfortuna si accanisce, proprio in queste ore il 79enne è ricoverato all’ospedale Pugliese per una setticemia a cui si è aggiunto il Covid. La donna conclude: “Non ritengo giusto far trasferire i miei genitori in Lombardia. Hanno lavorato e pagato le tasse in Calabria ed è giusto che siano curati qui come nel resto del Paese”.
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