Riflessione di Franco Cimino su "Palestinesi e Israeliani, l'odio infinito nell'assurda guerra in un pianeta bombardato"

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images Riflessione di Franco Cimino su "Palestinesi e Israeliani, l'odio infinito nell'assurda guerra in un pianeta bombardato"
Franco Cimino
  19 maggio 2021 22:57

di FRANCO CIMINO

Nel mondo si deve per forza morire di guerra. L’uomo assetato di sangue umano continua indisturbato la sua azione rovinosa, la sua spirale di morte. La più grande delle sue contraddizioni continua dopo secoli a dominarlo. Implacabilmente l’uomo si dimena nevroticamente tra l’ambizione di prolungare la vita e la follia di procurare la morte. Quella morte che, sfidando Dio e la Natura, addirittura vorrebbe sconfiggere man mano che le sue scoperte scientifiche la allontanino sempre di più.

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La regola fondamentale sembra essere, fermamente collocata al centro delle dinamiche sociali, quella di far la guerra. Di farsi la guerra, ché non c’è attacco bellico contro un nemico che non si ritorca contro se stessi, il proprio popolo. La guerra è l’unica partita che ha due avversari e mai un vincitore. La spiegazione è semplice e non ha nulla di filosofico e di speculativo. La guerra si fa con l’odio, prima che con le armi. L’odio chiama odio, come morte chiama morte. Lo spirito di vendetta sostituisce ogni altra forma di pensiero alto e di spiritualità anche religiosa. E la scia di sangue si prolunga all’infinito e agevolmente attraversa confini, muri divisori e alti fili spinati. Chi pensa di aver vinto, temendo poi la rivalsa e l’attacco armato d’odio del nemico dovrà “dormire” sempre restando sveglio e impiegare gran parte delle proprie risorse per gli armamenti invece che per i campi di grano e le scuole. Tutto questo lo sanno pure i bambini senza che nessuno glielo insegni, anche perché la televisione e la rete universalistiche e totalizzanti, che hanno sostituito dai tempi di Popper la vecchia maestra, insegna ciò che esse hanno ben imparato dal sistema. E, cioè, l’aggressività, intesa come normale forma di espressione e l’odio quale strumento efficace di risoluzione delle paure nei confronti delle diversità. La nostra diversità, nascosta nelle tante fragilità, è la paura più grande e aggressiva.

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Nel mondo, quindi, si deve per forza morire di guerra. Alla quale “ abbiamo fatto il callo”, come si dice. E non perché ne veniamo continuamente bombardati dai mass media. La nostra assuefazione è data dall’aggressività che nella società si espande e nelle vene degli individue infine scorre. C’è un altro principio che è tanto noto quanto vecchio: tutto si apprende e tutto si prende, specialmente in età tenera e nelle tante stagioni infantili e pre- giovanili. L’esempio dato dagli altri, specie se adulti, e di più se sono nostri vicini riferimenti, i loro comportamenti, sono sempre “ educativi”. Soprattuto, se negativi. In mancanza di una strutturata pedagogia dell’Amore, il male, senza le reti di protezione culturali, attrae molto più del Bene. Ci siamo tanto abituati alle guerre che la morte da esse prodotta non ci scandalizza più. L’elenco scorre stancamente nelle dita. È di ieri la notizia delle altre morti nel mare davanti a Lampedusa. Sempre quello, da più di un decennio. Quanti sono gli ultimi e quanti in totale? Chi può dirlo! Non hanno neppure un nome e molti di loro neppure una tomba per essere ricordati, ma solo una famiglia perduta. Una famiglia che pensa che il lungo silenzio sia dovuto alla faticosa ricerca della fortuna da estendere fino alla loro baracca lontana e non alla morte con cui pure fanno quotidianamente i conti. E della Siria, chi ne parla più? Del milione di profughi stipati in accampamenti disumani? Della strage di bambini? Delle uccisioni di migliaia di donne e anziani indifesi? Delle più antiche città distrutte e delle opere d’arte fatte a pezzi per cancellare storia e cultura di popoli e dello sterminio completo delle diverse etnie? E di quanto sta accadendo in Birmania, a quel popolo e alla sua incorruttibile leader Aung Sun Su Ky, di cui non si hanno notizie da quando è stata imprigionata? E delle guerre fratricide nelle diverse regioni dell’Africa, ovvero di quanto di miserevole e miserabile accade in molti paesi della cosiddetta Primavera araba, dove due nostri giovani, Giulio Regeni e Patrick Zaki, hanno pagato( il secondo, per fortuna ora in vita) prezzi incommensurabili? Chi ne parla più con dolore e indignazione profondi e veri?

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E l’elenco non finisce qui. Sono guerre tutte queste. Guerre autentiche. Mi domando, allora, quale differenza c’è tra loro? Nessuna sostanzialmente. Solo nella denominazione. Guerra tribale, guerra razziale ed etnica, guerra religiosa, guerra tradizionale per l’acquisizione di territori. E guerra di genere nazi-fascista per la cancellazione dell’altro. E ancora, guerra per interposto internazionalistico predominio delle superpotenze. Guerra per il dominio della tecnologia e delle industrie farmaceutiche che hanno dato nuova linfa a quella antica dei vaccini. Guerra economica con nuovi ambiti d’assalto, quella mossa dai ricchi contro i poveri e dai loro mezzi repressivi e di violenza autorizzata dagli Stati, agiti contro i poveri in cerca di pane, casa e lavoro. E di una nuova terra in cui realizzare il diritto alla vita e alla libertà di cui la vita si nutre. Al centro di questa unica guerra c’è sempre la pseudocultura di chi pensa che la propria vita si alimenti con la morte degli altri, la propria ricchezza con la povertà dei più. E la propria sicurezza con la cancellazione del nemico, che è quasi sempre il diverso. Nel mondo si deve morire per forza di guerra. Non è bastato il Covid. Esso non ha fatto ancora in tempo per mostrarsi davvero stanco e indebolito che sulla striscia di Gaza hanno ripreso in pugno le armi vere. E dai due fronti hanno ripreso a farsi più male.

Tutto il mondo si mostra sorpreso e indifferente. Sorpreso, come se l’odio che divide da sempre palestinesi e israeliani sia un fatto nuovo. Indifferente, perché anche di questa guerra antica non gliene ne frega nulla. Quella piccola zolla di terra sulla quale duemila anni fa ha camminato l’Uomo nuovo che di sé ha riempito il cuore di questa Umanità dal percorso continuamente interrotto, è da circa settant’anni teatro di scontri sanguinosi tra due popoli che, pur figli dello stesso Dio, su quei territori e sulla religione hanno costruito il reciproco odio e la pretesa di cancellare l’altro. Palestinesi e israeliani si odiano tanto che basta una banale scusa, ben preparata sui calendari della guerra sospesa, per scatenare una nuova ondata di violenza ed una guerra mascherata dal diritto di reazione, nella quale si scontrano due forze militari fortemente squilibrate. L’unico sforzo nuovo che le due parti fanno rispetto al passato è di operare in modo che sul piano internazionale si passi da aggrediti e gli altri da aggressori. Intanto, si fa fuoco sulle città innocenti e sulle popolazioni disarmate, gli uni con la scarica di missili terra-aria, gli altri con la potenza di fuoco di raid aerei incontrastabili. La chiamano guerra d’assaggio. Nella voluta impotenza delle istituzioni internazionali, troppo impegnate su altri più interessanti fronti di guerre (quelli di natura economica, uso della pandemia compreso), israeliani e palestinesi se le danno di santa ragione, con la totale adesione delle rispettive popolazioni, tutte cresciute nell’odio contro il nemico, il che rende questo conflitto davvero interminabile nonostante gli accordi storici che dai tempi di Arafat- Peres-Rabin, sotto l’autorevole mediazione degli USA di Clinton, ancora si impongono sul piano diplomatico e politico.

Quegli abbracci - chi non li ricorda? - avevano fatto sognare non soltanto a un Medio Oriente finalmente pacificato, ma a un pianeta davvero pacificato. Un pianeta guidato, nelle autonomie delle nazioni, da un’Autorità internazionale, l’Onu, secondo un principio universale, pur nei limiti imposti dalle storiche relazioni umane e politiche, finalmente applicato, dalla terra di Abramo e di Gesù a ogni altre parte del globo. A ogni popolo una terra, la propria, questo il principio inderogabile. A ogni terra abitata dal suo popolo, il diritto di sentirsi nazione e di costituirsi Stato. Ma nella Costituzione del genere umano non esiste un principio che viva solo di diritti. A ogni diritto si accosta un dovere. Si accosta e non segue, si badi, per significare che in contemporanea il ricevente si obbliga a donare. E nella giusta misura. Che corrisponde sempre a quella della parità o della eguale reciprocità. Al diritto ad avere una terra ed una patria per il proprio popolo corrisponde il dovere di riconoscere eguale prerogativa agli altri. E il rispetto delle altrui ragioni. Corrisponde anche il dovere della solidarietà e del buon vicinato. Tutti elementi, questi, necessari al raggiungimento della pace fra popoli, nazioni e persone. Parlo di Pace e non solo di rispetto, come nel caso in questione, dei numerosi accordi sottoscritti in questi ultimi venticinque anni.

So bene anch’io che i nemici dell’amicizia tra Israele e Palestina si annidano ancora nei poteri nascosti che hanno interesse a tenere gli equilibri mondiali nello stato della fragilità storicamente documentata, sulla quale il fuoco mediorientale agisce da acceleratore. So anche bene che il fanatismo etnico e religioso, politicamente organizzato, all’interno dei due popoli, rifiuta ogni forma di convivenza e di ordinati rapporti fra i due popoli. L’odio che attraverso la religione essi trattengono, alimentano e trasmettono, alle nuove generazioni, desidera una sola cosa e per essa continuano a battersi: la negazione dell’altro e la sua soppressione fisica. Queste fazioni, che trovano facili finanziamenti per le loro azioni odiose, sono sempre state disposte a tutto pur di far saltare anche i progetti di semplice non belligeranza. Io non dimentico la morte di Isaac Rabin, il leader di Israele ucciso da un giovane appartenente a una delle correnti ebraiche più fanatiche e folli. E non dimentico la rapida archiviazione della morte dell’altro grande protagonista dei processi di conciliazione, Jasser Arafat, lo storico leader palestinese, morto in pochi giorni con una malattia “ segreta”, della quale manca ancora una certificazione credibile anche da parte dell’ospedale francese che l’ha accolto in fin di vita. E nulla aggiungo alle dinamiche politiche che si scatenano nel mondo occidentale, in Europa in particolare( in Italia più specificamente) che nel disinteresse totale verso il Medio Oriente, trovano nelle periodiche accensione del conflitto l’occasione per dividere la propria opinione pubblica in pro- palestinesi e in pro-israeliani, con una confusione di ruoli politici da far venire il giramento di testa. È evidente la strumentalizzazione politica tutta ad uso interno. Specialmente quella di una certa destra estrema e nostalgica, largamente diffusa in tutta Europa, che sulla cieca colpevolizzazione di Israele sembrerebbe manifestare un complesso freudiano, dietro il quale gli ebrei non hanno un nome e forse neppure una storia.

Neppure recente. Intanto, dentro e fuori la striscia di Gaza, la lingua di terra creata per preparare i confini sicuri dei due stati e lo spazio di prova per una civile convivenza fra israeliani e palestinesi, si “spara”. Soprattutto di notte quando di luci cattive si illumina a giorno. Le diplomazie internazionali, dicono i mezzi di comunicazione, si stanno affannando per ottenere la sospensione dei bombardamenti. La sospensione? Si parla di sospensione, come di un negozio chiuso alla domenica o di un breve intervallo di lavoro. Il tempo di riprendere fiato, di approvvigionarsi di armi e di seppellire i morti( sono più di trecento in soli pochi giorni, la maggior parte palestinesi e tanti i bambini e le donne e gli anziani in ambedue i fronti). E poi? Di nuovo scontri, di nuovi razzi e bombe dagli aerei? Ancora morte e distruzione? Ancora miseria e povertà, specialmente in territorio palestinese, dove la povertà, e tutto ciò che ne consegue, è strutturalmente pesante? No, non si può, questa volta, in un pianeta a rischio di autodistruzione accelerato dall’ultima grave indomabile pandemia, ripetere lo schema di sempre. Quello in cui la pace è la sospensione, sempre più breve, fra due guerre e la provvisoria concordia sia il tempo necessario a rafforzare l’odio ed armarlo con maggiore potenza. Solo Francesco, il Papa, ancora una volta ha saputo indicare la strada giusta per la soluzione del nuovo conflitto. È quella che Egli indica per tutte le guerre vecchie e nuove. A ciascuno sia dato ciò che gli spetta con la garanzia che la comunità internazionale sarà impegnata a difenderlo. A ciascun popolo e a ciascuna persona siano concessi la libertà, il pane e la casa. E la dignità, nel lavoro e nel giusto guadagno. E ancora, gli siano dati la ricchezza complessiva divisa secondo le regole della giustizia e dell’etica prima che del mercato e della logica duramente liberista. A ciascun popolo e a ciascuna persona gli siano riconosciuti e garantirti e protette le terre avite, i confini necessari e il diritto a edificarvi lo Stato.

A ciascun popolo e a ciascuna persona siano garantiti gli strumenti, anche i più moderni ed avanzati, per promuovere quella crescita culturale e civile attraverso la quale abbattere ignoranza e fanatismi ideologi e religiosi, ripulire le menti da interessi egoistici e i cuori da odio e risentimenti inconcepibili. E si apra in ogni luogo la via dell’Amore, l’unica forza che salverà l’umanità e il suo habitat. Perché nel mondo non si debba più morire di guerra.

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