Riflessione di Vanni Clodomiro sul fascismo storico

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Vanni Clodomiro
  21 ottobre 2021 20:25

di VANNI CLODOMIRO

Nel linguaggio politico corrente il termine "fascismo" è universalmente adoperato in senso spregiativo come sinonimo di destra, contro-rivoluzione, reazione, conservatorismo, autoritarismo, corporativismo, nazionalismo, razzismo, imperialismo. Con una specie di processo di inflazione semantica, il concetto del fascismo è stato poi adoperato indiscriminatamente nella lotta politica, nella storiografia e nelle scienze sociali, acquisendo così sempre più un significato generico.

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Inizialmente, negli anni Venti, il fascismo fu considerato prevalentemente un’espressione tipica della storia e del carattere degli italiani. La cultura fascista, in quel periodo, insisteva sull’italianità del fascismo come rinascita della «stirpe» iniziata con l’interventismo e la guerra. Anche in campo antifascista, prevaleva la tendenza a considerare il fascismo un fenomeno tipicamente italiano, come rivolta antiproletaria e anticapitalista della piccola borghesia umanistica, impregnata di nazionalismo e di retorica romanistica, o addirittura come autobiografia della nazione, cioè come manifestazione e prodotto di secolari deficienze storiche e morali tipiche della società, della classe dirigente e del popolo italiano.

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La specificità del fascismo come fenomeno italiano era un giudizio diffuso anche nelle interpretazioni degli stranieri. Tuttavia, durante gli anni Trenta, con il proliferare in Europa di movimenti e regimi autoritari  nazionalisti, e sopra tutto dopo l’avvento al potere del nazismo, il fascismo fu percepito sempre più, sia dagli avversari che dai simpatizzanti, come un fenomeno internazionale. La stessa propaganda fascista cominciò ad esaltare l'«universalità» del fascismo, profetizzando perfino il prossimo avvento di un’Europa fascista, o comunque fascistizzata. Tale convinzione fu il denominatore comune delle interpretazioni elaborate dai movimenti antifascisti tra gli anni Trenta e Cinquanta.

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La cultura marxista e il movimento comunista furono i primi ad attribuire al fascismo, fin dagli anni Venti, una dimensione internazionale, identificandolo con la reazione della borghesia che, per arginare l’avanzata del proletariato, si serviva di bande armate di piccoli borghesi declassati.

L’interpretazione marxista è stata contestata dalla cultura liberale, che ha attribuito l’origine e l’affermazione del fascismo alla famosa «malattia morale», esplosa dopo la prima guerra mondiale, ma iniziata già negli ultimi decenni dell’Ottocento con un progressivo decadimento della coscienza europea, l’imbarbarimento della società e l’irrazionalismo culturale. La volontà di potenza, la demagogia, l’attivismo politico e il culto della violenza furono i fattori atti a favorire le tirannie di nuovi superuomini sparsi un po’ in tutto il mondo.

La visione del fascismo come fenomeno patologico della Storia è stata anche alla base delle interpretazioni di orientamento radicale democratico. Quindi, la reazione borghese, o la malattia morale, o la resistenza alla modernità furono i modi per giudicare il fascismo come una sorta di aberrazione del cammino della Storia. L’irrazionalismo del fascismo finì così col diventare una giustificazione per demonizzarlo, o comunque per rappresentarlo come una negatività storica.

Poi, dal punto di vista psicologico, il fascismo è stato visto anche come manifestazione della personalità autoritaria e come reazione aggressiva di masse sessualmente represse.

Altri studiosi hanno accostato il fascismo al comunismo, accomunandoli sotto la categoria del totalitarismo, cioè sulla volontà del capo di controllo totale, materiale e spirituale della società.

Attraverso tutte queste interpretazioni, le scienze sociali hanno contribuito a collocare il problema del fascismo in una prospettiva propriamente scientifica, favorendo così il superamento delle interpretazioni condizionate da presupposti e scopi di natura ideologica e politica.

Si pone dunque il problema di definire il fascismo. E dal momento che si tratta di un fenomeno straordinariamente complesso e variamente stratificato, forse la migliore teoria è quella di Angelo Tasca, il quale scrisse  che «definire il fascismo è anzitutto scriverne la storia». E la monumentale opera di Renzo De Felice, che scrisse una biografia di Mussolini in più di sette volumi, andò proprio in quella direzione. Donde, nella seconda metà del secolo scorso, nuovi impulsi ebbero le ricerche sul fascismo e, cosa di fondamentale importanza, sui vari aspetti del fenomeno, o meglio ancora sui singoli fascismi che si svilupparono un po’ dovunque: ciò, naturalmente, al di fuori degli schemi tradizionali: giacché vi sono più specie di fascismo, ciascuna delle quali implica tendenze molteplici e talora contraddittorie, che posso evolvere fino a mutare alcuni dei loro tratti fondamentali.  

Ora, per tornare a quanto detto in apertura – cioè che il termine "fascismo" si riferisce ormai molto genericamente ad un determinato tipo di atteggiamento mentale – vediamo di non assegnare troppo facilmente l’etichetta di fascismo a movimenti di contestazione e ribellione, come, ad esempio, quelli che si sono verificati  negli ultimi giorni a Roma, perché così sul fascismo non si fa un discorso serio. Ma ciò non toglie che sia doveroso prestare la dovuta attenzione a tali fenomeni, senza pretendere di codificarli subito, in quanto sono comunque vari e complessi: sicuramente, i protagonisti di quei fatti sono molto vicini al fascismo da un punto di vista ideale, ma non ideologico in senso stretto, in quanto, probabilmente, nessuno di loro ha mai approfondito lo studio del fenomeno fascista, al di fuori degli schemi tradizionali. Quei protagonisti hanno necessità di un qualsiasi occasionale pretesto di ribellione. Il green pass non basterà: basterà solo per cominciare; dopo, verrà ogni eventuale elemento di possibile contestazione del "sistema".

 

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