Rinascita Scott. Il pentito Mirarchi in aula svela affari e business dei Crotonesi a Catanzaro e provincia

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Santo Mirarchi
  02 febbraio 2021 15:47

Santo Mirarchi, ex componente di spicco della ’ndrangheta di Roccelletta di Borgia, collegato con gli Arena, ora collaboratore di giustizia, è uno dei tre testimoni sentito oggi nell’ambito del processo Rinascita Scott, in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme. Subito dopo, sono stati ascoltati dal pm Annamaria Frustaci anche Antonio Cicciù e Gennaro Pulice. Il controesame è previsto per l'11 febbraio. 

Mirarchi ha ricostruito la sua carriera criminale, la nascita della Locale a Roccelletta e i collegamenti con gli Anello di Filadelfia.  Dalle estorsioni quasi fino a Soverato fino alle influenze territoriali a Sellia e Cropani. Fin quando le cose non cambiano direzione e nel 2009 via libera per aprire una Locale di ’ndrangheta: “Potevamo prendere decisioni nel nostro territorio, essendo autonomi, pur rispondendo agli Arena; all’esterno invece dovevano sempre avere il consenso di Rocco Anello, almeno fino al 2016”.

Inevitabile il rapporto con gli Arena però: “Quieto vivere, ma l’attrito era con quelli di Vallefiorita, però non si voleva che la Dda puntasse i riflettori su di noi”. Un salto nel passato e alle faide: sarebbe stata superata e che ne sancì, si giunse ad unificazione tra i due gruppi (Arena e Grande Aracri, ndr) con “l’intento di non fare guerre per il quieto vivere degli affari come la 106 e la ferrovia a Catanzaro”.

“Quando Nicolino Grande Aracri uscì di carcere per sette mesi, fece diventare Cutro “Provincia di ’ndrangheta” facendo in modo a quel punto che tutte quante le famiglie di ’ndrangheta di Isola, Crotone e Catanzaro, dovessero avere il suo consenso: quindi omicidi, estorsioni, gare d’appalto e via dicendo”, spiega Mirarchi riferendosi alla nascita della provincia di ‘ndrangheta di Cutro per decisione del boss Grande Aracri, la quale dialogava con le famiglie reggine dei De Stefano, dei Bellocco e dei Pesce.

E chi e quali territori comandava la provincia? “I gruppi di “Vallefiorita, Borgia, Catanzaro, Sellia, Cropani, Botricello, Isola Capo Rizzuto, Steccato di Cutro, Cutro stessa, tutta la Presila e Soverato”, mentre  “Filadelfia era autonoma”. Riflettori anche su Lamezia Terme: “Rra dei Giampà ma dopo tutti i pentiti in quella famiglia, nel 2012 si prese un accordo con i Torcasio di costituire un gruppo coi Gualtieri anche se questo doveva comunque chiedere il consenso dei Grande Aracri o degli Anello per qualsiasi cosa”.

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Parola anche a Gennaro Pulice, di Lamezia Terme, collaboratore di giustizia dotato di notevoli capacità espositive : “Vivevo in una visione onirica e paragonabile ad una chimera. Sono cresciuto fino a raggiungere la dote di Santista e in una visione polarizzata della vendetta. La versione scatenante che ha determinato l’appartenenza mia alla ‘ndrangheta è stata l’ucciso di mio padre nel 1982, ucciso per contrasto con famiglia Bellocco.  Sono cresciuto con l’idea di vendicare mio padre. A 15 anni ho ucciso Salvatore Belfiore, che aveva tradito mio padre.
Ho studiato e diplomata, coerentemente con la concezione della ‘ndrangheta moderna: radicati alle tradizioni e in parte desiderosa di un salto di qualità. La ‘ndrangheta di mio nonno invece era molto ancestrale, senza mai avvicinarsi ad esempio a traffico di stupefacenti”.

Pulice racconta del Crimine di San Luca, ma che per affari interni invece le cosche lametine facevano riferimento a Rosarno. E così, attraverso personaggi di Isola Capo Rizzuto, di Africo, si cercò di creare uno spazio autonomo e staccato da San Luca.

Si passa ai meccanismi della criminalità, dal ruolo della “Santa”, destinato a cercare contatti con la “società civile” tra cui politica, magistrati, forze dell’ordine.  “Nella società maggiore un membro poteva far ricadere la colpa di omicidi o uccidere uno della società minore. Per la guerra contro Torcasio-Giampà sono rientrato dall’Olanda. Ero d’accordo con la visione strategica ma ero contrario rispetto, ad esempio, a collaborare con le forze dell’ordine.  Anche quando avevo la dote della Santa”.

Sugli omicidi invece “le decisioni sugli omicidi passavano sempre dalle dipendenze delle cosche reggine. Ma i rapporti erano anche con i Mancuso di Vibo Valentia: legami storici, tenuto dalla famiglia Iannazzo e Mancuso.  Una fotografia anche sui rapporti di forza in carcere e sui funzionamenti dentro agli istituti penitenziari.

Concentrati anche su Andrea Mantella, ora collaboratore di giustizia e pezzo da novanta della criminalità vibonese: “Ne ho sentito parlare perché ha un legame di parentela del professore, Francesco Giampà.
Era uno degli obiettivi da eliminare: era un elemento di spicco, di una caratura criminale elevato. Ho saputo che c’era un piano per uccidere me e anche doveva essere messo a punto di Andrea Mantella.

Se sono vivo è grazie a Damiano Vallelonga, il quale ha detto no rispetto alla richiesta di Mantella per venirmi ad uccidere”.

Sentito anche il collaboratore di giustizia Antonio Cicciù, di Cosenza.

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