Rinascita Scott. Mantella in aula racconta di omicidi, estorsioni e "la Caddara della 'ndrangheta": "Inutile ribellarsi"

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images Rinascita Scott. Mantella in aula racconta di omicidi, estorsioni e "la Caddara della 'ndrangheta": "Inutile ribellarsi"

  22 aprile 2021 16:24

di EDOARDO CORASANITI

"Non vorrei essere presuntuoso, ma io criminali ci nacqui". Andrea Mantella, 49 anni, collaboratore di giustizia, capo della corrente scissionista di Vibo Valentia, si presenta così al processo "Rinascita Scott", in corso nell'aula bunker di Lamezia Terme. E' il pentito più aspettato e atteso dell'intero procedimento, capace di raccontare le dinamiche di 'Ndrangheta e protagonista di decine di omicidi, estorsioni, danneggiamenti: molti fatti li ha vissuti in prima persona e altri dice di averli sentiti raccontare. Cosa è vero e quali riscontri verranno verificati, si vedrà anche quando a porre le domande saranno anche gli avvocati di tanti imputati che lo stesso Mantella accusa. 

Oggi la prima puntata della sua deposizione, condotta dalla Pm Annamaria Frustaci. Come per ogni collaboratore si comincia con l'inizio della sua carriera criminale e Mantella non si sottrae alla descrizione della sua biografia: "A 13 anni il primo reato di estorsione con il titolo quasi irrisorio ‘o mi dai 30 milioni o ti faccio saltare in aria’, ai danni di Pino lo Schiavo. Estorsione commessa da solo, questo primo atto ero in autonomia. Da lì quella situazione mi è servita per mettermi agli occhi di Carmelo Lo Bianco, il mio ex capo. Poi faccio una escalation di omicidi, tentati omicidi, faccio una sparatoria al campo di calcio di Vibo Valentia, gambizzazione a un commerciante. Ne ho combinate di tutti i colori. Non ho commesso reati volgari (di natura sessuale, scippi ai vecchietti, quelle porcherie lì) non è il mio costume. Racconto un episodio: la nipote di Carmelo lo bianco tradiva il marito e mi invita a sparare alla nipote, Francesca Terranova, addirittura a spararle nella vagina. Però non l'ho fatto, a sparare è stato un altro".

Mantella è testimone della faida tra vibonesi e sangregoriani, vinta da quest'ultimi: "Tutto inizia quando Pasquale Franzè va da suo zio Francesco Fortuna ( alias “Pomodoro”), vicino ai Lobianco e temuto perché era un azionista, e gli dice che era stato derubato di alcune vacche ed ad essere stato sarebbe stato Pino Gasparro, che però si dichiara ignaro. Si vedono in piazza a San Gregorio d'Ippona, lì c'è una sparatoria dove muore il cognato di Saverio Razionale e Ciccio Fortuna rimane ferito". Nasce la scia di sangue, la faida, in cui i vibonesi perdono e diventano sottoposti ai Fiarè Razionale e quindi dei Mancuso: l'ex boss infatti fa sapere al Tribunale che una parte delle estorsioni andavano a finire nelle tasche dei Mancuso.

In questa vicenda c'è anche la mamma di Mantella, Rita Lobianco: la donna rilascia dichiarazioni alla Procura di Vibo Valentia che mettono nei guai la cosca Fiarè-Razionale. Poi però arrivano pressioni e la donna è "costretta" a ritirare le accuse. Inoltre, Rita Lobianco è la sorella di Domenico Lobianco, "U Baccu", ucciso nella faida tra vibonesi e San Gregoriani: "E' stato ucciso una mattina alle 4, a San Gregorio, all'interno della sua moto-ape". 

La faida va avanti, dura 18-24 mesi, è alla fine vincono i San Gregoresi, appoggiati dall'ala militare dei Mancuso. Nella sua composizione, l'ala vincitrice poteva contare su Peppe Mancuso (alias 'Mbroglia"), i Fiarè e da Saverio Razionale, definito da Mantella "come un fuoriclasse, il Leonardo Da Vinci della 'ndrangheta, uno che ci vedeva lungo". 

E il rapporto tra Razionale e Mantella ritorna più volte nel racconto: il pentito afferma di averci convissuto nel carcere di Paola, dove il sangregorese gli racconta del pestaggio subito a Catanzaro dall'avvocato Giancarlo Pittelli, ex parlamentare e ai domiciliari con l'accusa di concorso esterno in questo processo, ed eseguito da Giuseppe Mancuso, alias Mbrogghia. Secondo la descrizione, 'Mbroglia avrebbe perso le staffe perché in un processo aveva subito un trattamento diverso rispetto a Luigi Mancuso: "Si sentiva giocato in Cassazione", dice ancora il collaboratore. 

E di nuovo su Pittelli, definito dal pentito come un massone deviato: Mantella dice che dopo la condanna in Appello per l'omicidio Manco, si rivolge all'ex parlamentare su indicazione di Saverio Razionale. Obiettivo: ottenere un permesso premio dopo 8 anni di detenzione, durata dal 1993 al 2001. La ragione è che, a dire di Mantella, Pittelli avrebbe avuto un contatto con l'ex presidente del Tribunale di Sorveglianza. Ma il pentito non specifica né come Pittelli avrebbe pressato il Tribunale, né gli strumenti o il modo per fargli ottenere il diritto. 

E a proposito di avvocati, il collaboratore al Tribunale fa sapere che per essere scarcerato dopo l'arresto avvenuto alla clinica Villa Verde di Cosenza diede 70mila euro ad un "illustrissimo" legale di Catanzaro. 

Mantella, che si definisce come un riccio "dove mi metti pungo", traccia il quadro della evoluzione delle dinamiche criminali del vibonese, dallo strapotere dei Mancuso all'intenzione di crearsi sempre più spazio:  "Non accettavo più di essere un cane al guinzaglio dei Mancuso, mi alleo con i Bonavota in questo progetto. Mi fanno conoscere Damiano Vallelunga. Abbiamo parlato che ognuno si doveva prendere il suo spazio, Vallelunga visto come il Papa della ‘ndrangheta. Era giusto che ognuno nel proprio paese, ognuno ha il proprio territorio". 

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Saverio Razionale, Rosario Fiarè e Filippo Fiarè, Giuseppe Mancuso alias 'Mbrogghia, Giuseppe Accortinti, Raffalele Fiammingo, Carmine Galati, Antonio e Michele Vinci: sono i nomi di coloro che avrebbero fatto parte della "Caddara", un pentolone in cui tutti ci vanno a finire, senza possibilità di scappare. In questi termini Saverio Razionale spiega la criminalità vibonese a Mantella: "E' inutile che chiunque provi a ribellarsi, a fare i capi e i capetti, siamo noi i dominatori della Caddara". 

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Nelle dinamiche criminali calabresi, Mantella è noto per la sua vena scissionista e volontà di stare in autonomia: Non accettavo più di essere un cane al guinzaglio dei Mancuso, mi alleo con i Bonavota in questo progetto. Mi fanno conoscere Damiano Vallelunga. Abbiamo parlato che ognuno si doveva prendere il suo spazio, Vallelunga visto come il Papa della ‘ndrangheta. Era giusto che ognuno nel proprio paese, ognuno ha il proprio territorio". 

Ragione per cui il rapporto con i Mancuso non funzionava: Peppe Mancuso era una persona rude, rustica, che sapeva solo ragionare con la pistola e per la minima cosa strangolava per un singolo pezzo di terra, mentre Luigi Mancuso era "più fine, una figura da tutelare, uno che ha carisma e che non si rapportava con i "vaccari".

"Io personalmente ero in attrito con Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni. Volevamo ognuno la morte dell'altro. Con le mie estorsioni non davo niente a Mancuso perché mi sentivo forte militarmente. Era una falsa amicizia.  Una volta feci anche un'incursione a Nicotera con una Fiat Dublò per uccidere Pantalone Mancuso. Poi la cosa fu portata avanti dai piscopisani, ma fecero l'errore di dirlo a Michele Fiorillo, che lo disse a Razionale che a sua volta lo riferì a Pantaleone Mancuso". 

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