Scomparsa Otello Profazio, il ricordo di Pino Nano: "Era il Sud del mondo"

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Otello Profazio
  24 luglio 2023 18:06

di PINO NANO

"Se ne è andato anche lui, #OtelloProfazio. Ha scelto uno dei giorni più caldi e più afosi dell’anno per andarsene via per sempre. E anche lui, in silenzio, senza avvertire nessuno, forse anche per non creare ulteriore disturbo ai suoi amici più cari.

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Di una cosa però sono certo, ed è che la prima canzone che al suo arrivo gli angeli del cielo gli chiederanno di farsi cantare è “Qua si campa d’aria”, il vero straordinario e bellissimo manifesto del Sud che Otello non ha mai smesso di cantare.

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Un milione di copie vendute, un record assoluto per una canzone dialettale come questa, e per quegli anni.

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E’ l’incontro definitivo di Otello Profazio con la poesia di #IgnazioButtitta che produce questo nuovo capolavoro, l’album forse più autoriale di Otello, datato 1974, e in cui riemergono le tematiche classiche della mafia e dell’emigrazione, attraverso composizioni originali come Tua è la colpa, Io faccio il poeta, la celebre e sconcertante Mafia e parrini, nate dalla collaborazione dei due artisti.

I due autori affrontano temi sociali, in primo piano le disgrazie degli ultimi in quella terra dimenticata dallo Stato che è la Sicilia, e poi anche la Calabria. Li accomuna lo stesso spirito di rivincita nei confronti delle tante rivoluzioni tradite e la medesima vicinanza alle istanze del mondo popolare del sud, con le sue atmosfere visionarie, il senso di desolante abbandono. La condanna continua a una vita di precarietà. Il desiderio di rivalsa.

Qua di campa d’aria, bellissima canzone di rabbia sociale, che incomincia così: “Il Sud è ‘nu paese bello assai:/il sole è caldo, e non si fredda mai. /Il mare è azzurro verde sperlucente:/qui non si vide mai roba inquinante. /Siamo genti felici e stracontente:/non abbiamo bisogno mai di niente! /Qua si campa d’aria!”. E poi ancora: “Il Sud è proprio vero paradiso…/se vuoi morir, devi morire ucciso! /O genti, ve lo dico in fede mia:/qui non si sa cos’è la malattia…/E non capisco con quale causale:/ogni città ci fanno un ospedale! Tutta roba inutile! /Qua non muore mai nessuno…/Neanche i camposanti ci sono! /Il Sud ha un clima ch’è strabiliante:/ bisogni fisiologici per niente!/E’ al Nord che si beve e che si mangia,/e c’è bisogno d’evacuar la pancia…/Qui invece – ve lo dico in confidenza –non la sentiamo, no’, quest’esigenza! Qua si campa d’aria”.

Ma è ancora più forte il resto.

“Che si son messi in testa i governanti? / D’industrazzialiarci a tutti quanti! / Fatevi i fatti vostri, che non urgi/avere al Sud i Centri ‘i Siderurgi!/Ma che bisogno c’è di lavorare?…/cu’ ‘stu cielu, ‘sta luna e cu’ ‘stu mari?!…/Qua si campa d’aria”.

Per questa sua poetica autoriale e per l’incessante lavoro di studio e divulgazione della cultura popolare, nel 2016 Otello riceve il Premio Tenco alla carriera, il che la dice lunga sull’ammirazione plateale che il mondo della musica gli riserva. Ma in rete c’è oggi un documento che vale più di qualunque analisi sul personaggio e sulla sua storia, e sono le immagini girate nel ’63 e ’nel 64 quando lui partecipa a diversi varietà televisivi con Giorgio Gaber: “Canzoniere minimo” e “Questo e quello”, e dove i due riprendono il canto anarchico Addio Lugano bella, insieme a Enzo Jannacci, Lino Toffolo, e Silverio Pisu. Quasi una anticipazione e un testamento di quello che Otello avrebbe poi prodotto negli anni futuri.

C’è un passaggio ancora della sua canzone, Qua di campa d’aria, in cui Otello supera sé stesso, ed è quando prova a spiegare ai giovani cosa è stata, o cos’è, l’emigrazione del Sud verso il resto del mondo, cosa che fa in maniera quasi paradossale ma quanto mai efficace e sublime.

“Qua si campa d’aria! Ma, dice: “se si campa d’aria, /tutta questa ‘micrazione, come si spieca?”/ Si spieca, si spieca… Perché a noi ‘nci piace viaggiare…/conoscere altra gente … altri paesi …/ l’America…l’Australia…la Francia…la Germania…/ la Svizzera…il Belgio… Anche l’Italia! / Perché, è brutta Milano? È bellissima! / E Torino? Che ci manca a Torino? /

Ed è ancora più emozionante è il racconto che Otello fa della sua terra natale.

“Mi dicono che al Nord la notte è scura:/piena di nebbia e piena di paura. /Qui invece è giorno chiaro permanenti…/ma che ci serve a noi questa corrente? /Che avete messo a fare ‘sti lampioni? /se c’è la luna pe’ illuminazioni!/ Tutta roba inutile./Qua si vede benissimo…/anche di notte…/C’è una luna! A’n prima matina spunta ‘a luna!”

Otello Profazio, l'ultimo suo concerto romano

 Impietoso, irruento, istintivo, sarcastico, graffiante, irriverente, travolgente. E tra una cosa e l’altra del mio ultimo incontro con lui, subito dopo il suo ultimo concerto romano, mi ricorda un incidente di percorso, tra me e lui, datato -diceva lui- giugno luglio del 1982, quando in RAI, io appena assunto e quindi giovanissimo redattore di prima nomina, mi presi la briga di rimproverarlo, per via di una “occupazione quasi militare” che Otello allora faceva dello studio radiofonico della Rai di Via Montesanto.

Eravamo al quinto piano del palazzo Rai, al numero 25 di quella strada, alle spalle di Corso Mazzini e nel cuore della Cosenza borghese e illuminata di allora. Otello era al telefono con l’Australia e io avevo fretta forse di registrare un contributo destinato al Giornale Radio delle 12,10. Lo cacciai dallo studio, e forse lo feci nella maniera meno consona al personaggio, io non me lo ricordavo neanche francamente, ma per questo gli chiederò scusa per il resto della mia vita.

Forse la fretta, forse la nevrosi di quelle ore e di quei giorni, forse la superficialità nel giudicare quell’artista che in quel momento lavorava anche per noi, già allora lui famosissimo, non lo so, ma immagino che sia tutto vero se a distanza di 40 anni Otello me lo ricordava e me lo rinfacciava con tanto candore.

Ma questa era la statura del personaggio.

“Mastru cantaturi”, Musicista come pochi, conoscitore delle rime e della musica, dei ritmi e delle cantilene più famose del sud, Otello Profazio ad un certo punto della sua vita diventa anche un fine ricercatore, uno studioso di ritmi arcaici, di canti popolari di rabbia e di protesta, di guerra e di conflitto, e ne analizza temi e contenuti come nessun altro sa fare, un osservatore attentissimo della realtà sociale in cui vive, di altissimo respiro accademico, che incomincia a scrivere i suoi primi libri, e a conquistare con una prosa didascalica e velocissima il consenso di migliaia e migliaia di lettori fedelissimi.

La Gazzetta del Sud gli apre le sue pagine, e per 15 anni Otello pontifica e semina dalle pagine del quotidiano più letto dello Stretto i suoi consigli e le sue reprimende, attaccando la politica come nessun altro aveva mai osato e saputo fare prima, e mettendo in berlina personaggi altrimenti in passato inavvicinabili e soprattutto inattaccabili. La sua rubrica diventa un must dell’informazione locale, una sorta di manifesto per “uomini liberi e senza amici alle spalle”, un tazebao, di una realtà che sapeva di corruzione di malaffare e di totale inadempienza verso i cittadini comuni. Ogni strofa è un pugno allo stomaco, ogni ragionamento è una messa in mora al potere dominante, ogni aggettivo è elemento basilare di un giudizio feroce e impietoso che alla fine faranno di Otello il nemico numero uno del potere costituito.

Tutte le sue canzoni, anche quelle che al primo ascolto potrebbero sembrare “allegre”, “leggere”, o "scandalose", sono canti di protesta, di lotta “poetica”, di analisi critica della realtà sociale, che Otello esalta usando l’arma della satira, e brandendola a destra e a manca contro chiunque abbia provato a imbrogliare la gente del Sud. Otello si fa paladino della povera gente, prova a ridare voce a chi voce non ha mai avuto, e soprattutto prova a riportare al centro dell’attenzione sociale del suo tempo i derelitti e i morti di fame, usando a corrente alternata un italiano impeccabile e forbito e il dialetto più chiuso dei paesi più interni di Calabria, in questo geniale come pochi e quanto mai efficace e diretto.

Etnomusicologo, cantautore, cantastorie, dottore in lettere classiche all’Università di Roma, memoria storica ormai della vita di interi paesi del Sud, romanzo vivente di intere generazioni di uomini, menestrello erudito e moderno, poeta filosofo storico e antropologo insieme, dentro di lui ci siamo tutti noi, e c’è la vita di ognuno di noi.

Otello Profazio era la Calabria, era la sua anima, era il suo respiro. Lo amavo disperatamente perché era un uomo libero, senza pregiudizi ma anche senza freni inibitori, padrone della sua libertà da sempre, senza se e senza ma, altezzoso, presuntuoso, irascibile, padrone del mondo in tutti i sensi, mai schiavo e mai sotto ricatto.

Ogni suo concerto era una magia, era un pezzo di storia locale, era un affresco di battaglie sociali e civili che nessuno aveva mai saputo raccontare meglio di lui, perché quello che sapeva dire la sua musica non sapevo dirlo nessun altro.

Otello era il Sud del mondo, Otello era la musica popolare italiana, Otello era il mago della chitarra, Otello era il re dei cantastorie di tutti i tempi, Otello era Otello Profazio, una leggenda vivente, una sorta di icona della nostra musica country, e di lui parleranno per sempre i libri di storia della musica. Perché la storia dell’antropologia e della sociologia meridionale passano anche attraverso la sua vita, attraversano le sue canzoni, grazie alle sue ricerche, ai suoi studi, ai suoi saggi, e ritornano al cuore del mondo per via del soul che segnava, e segna oggi più di ieri, la sua musica.

Affascinante, scontroso, estroverso, eclettico, sofisticato, strafottente e irritante, iroso e avvolgente, ammaliante e superstizioso, Otello era tutto questo insieme, era la Calabria in tutte le sue fattezze, antica e moderna, pregi e virtù, vizi e privilegi, storia di soprusi sopraffazioni violenze diritti negati, poche certezze, immensa solitudine, sconfinate praterie di delusioni e di attese di speranze inutili e di sogni impossibili, sull’altare di una libertà mai reale e mai esistita.

Otello era la voce della protesta, Otello era l’angelo dei disperati, Otello era il cantore dei poveri. Di più, Otello era l’amico dei derelitti, poeta di chi partiva per sempre, Otello era esaltazione sogno depressione vita e morte insieme.

Otello era così anche nei momenti più difficili della sua vita e della sua carriera, quando anche il ricatto poteva far parte della sua vita e della storia della sua crescita professionale e artistica di cantante e di cantautore. Arrivava nei paesi più lontani e più sperduti e diventata come d’incanto il vero re della piazza, poeta di strada, amato coccolato invidiato e ammirato per il modo come raccontava la storia di uomini e donne che per secoli non avevano avuto voce.

So bene che un cronista non dovrebbe mai lasciarsi a confessioni private, ma il mio primo incontro con Otello Profazio data forse sessant’anni fa, io appena ragazzo, per la mano con mio padre, nella piccola grande piazza di Sant’Onofrio, il mio meraviglioso paese di origine, e lui Otello su una panca sistemata accanto alla fontana del paese con alle spalle un grande cartellone animato, quasi una scacchiera di disegni, ogni quadrato una storia, ogni storia un personaggio, e lui al centro di tutto con la sua chitarra e soprattutto la sua voce.

Una voce possente, melodiosa, protagonista quanto la sua musica, un fiume in piena, una ballata dietro l’altra, musica e parole che parlavano di briganti e di storie di violenza, di fuitine e di tradimenti, di paure e di partenze, e fu allora che per la prima volta capii cosa fosse la disperazione di chi partiva in cerca di fortuna e di lavoro, le Americhe, l’Argentina, “U Canadà”, Toronto Montreal e via dicendo.

Una notte magica per me quella sera, e quando mio padre provò a tirarmi via dal concerto prima che finisse lui capì immediatamente, dalla mia stretta di mano, resistente a lasciare la piazza, che qualcosa quella notte aveva colpito la mia immaginazione più di quanto lui stesso, straordinario intellettuale di quei tempi, non avesse percepito. E rimase con me, e con mio fratello Ottavio, anche lui fino alla fine, in piedi come tutti gli altri, a seguire le smorfie i tic e i movimenti di questo strano uomo da circo, pesante nel fisico già allora, e sgraziato nei movimenti, ma leggiadro e straordinariamente gioioso nel suo modo di cantare.

L’avevo sentito qualche mese fa, volevo chiedergli della sua salute e con il suo solito ghigno sarcastico mi aveva risposto: “Cosa vuoi che ti dica? I vecchi nei nostri paesi dicono ancora oggi che l’ età è una infermità, e ti ho detto tutto”.

Spero che un giorno una delle grandi Università Italiane –magari lo facesse l’Unical!- accetti la sfida di analizzare le sue meravigliose “cantate”, queste sue immense serenate d’amore, questi suoi canti di rabbia e di lutto, e forse solo allora capiremo tutti, davvero fino in fondo, cosa è stato Otello Profazio per la storia del Sud.

Ricordo che quando arrivai per la prima volta negli Stati Uniti, per una lunga inchiesta della RAI tra i calabresi emigrati tra Boston Chicago, New York, Philadelphia e l’Ontario in Canada, Otello era la sola vera certezza dei nostri emigrati. Il solo vero Dio che riconoscessero. Otello era una sorta di passaporto valido per tutte le stagioni e per tutti i club di emigrati allora disseminati sul territorio americano. Otello era il solo calabrese che tutti conoscevano davvero bene, e che tutti erano andati a sentire almeno una volta nella propria vita.

Otello, dunque, e ancora Profazio, una vera e propria pop star, alla stregua di grandi poeti musicali country d’America, la famosissima scuola di Nashville, Hank Williams, Merle Haggard, Waylon Jennings, Willie Nelson, George Jones, Townes Van Zandt, Kris Kristofferson, Johnny Cash, e Jimmie Rodgers. O anche alla stregua dei più conosciuti Pete Seeger, Bob Dylan, Jackson Browne, Paul Simon, Stevie Wonder, ma tanti altri ancora.

Bellissima la risposta che mi aveva dato quando una sera a Roma gli chiesi se avesse un erede.

 “Francamente non lo vedo. Ma sai perché? Perché non ci sono più cantanti alla mia maniera,o artisti che cantano le ragioni del Sud come faccio io ancora oggi alla mia età, o anche che cantano le loro cose alla loro maniera usando la lingua dialettale.Qualcuno prova a cantare le mie canzoni, prova a cambiare qualche rima, a volte sbaglia anche perché ne storoia il significato più profondo. Ecco perché ti dico che attorno a me vedo solo il vuoto. Anzi, il nulla.Ma proprio per questo forse, quando qualcuno di voi giornalisti scrive di “Otello, il numero uno”, io mi arrabbio anche. Io non sono il numero uno, semmai io sono il numerto zero di una generazione di cantanti che non esiste più e che comunque non è mai cresciuta”.

Canzoni di strada, artista on the road, si può dire così?

“Ma vorrai mica scherzare? Grazie alle mie canzoni e alla mia ricerca musicale ho girato il mondo in lungo e in largo e anche ripetutamente, e ho raccontato la Calabria e la gente del Sud come nessun altro ha mai saputo fare. E’ questo il mio orgoglio più grande. Vuoi sapere la verità? Non c’è paese o comune o frazione in Calabria dove io non sia stato almeno una volta nella mia vita a cantare. Anzi, ti sfido, trovami una sola località dove io non sia un giorno passato, e sono pronto a chiederti scusa pubblicamente per  quello che ti ho appena detto”.

Otello, edizione 2023, era rimasto tale e quale, il cantastorie di sempre, anzi oggi più di ieri. E’ come se la sua vera missione fosse oggi quella di ricordare, rammentare, riannodare, ricucire e rimettere insieme il grande puzzle del mondo che ha conosciuto. E che oggi ha scelto di lasciare per sempre".

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