di MARIA PIA SPINICCI*
Un nemico invisibile è venuto a farci visita mesi fa, pian piano è entrato nelle nostre vite, passo dopo passo ha rubato la nostra libertà, ha fatto in modo che il suo nome: “COVID-19”,venisse pronunciato continuamente, trasformandoci in persone piene di paura, timore e ansia. Si è diffuso a macchia d'olio nel giro di poco tempo, senza neanche lasciarci la possibilità di prendere consapevolezza della situazione.Il governo decise di aumentare le misure restrittive e l'Italia venne blindata.
Ricordo ancora il giorno in cui furono chiuse le scuole.L'euforia, la felicità di stare a casa per un po' di giorni, di saltare interrogazioni, compiti.Non sembrava un qualcosa che si sarebbe protratto così a lungo, fino a quando non hanno iniziato a parlare di “DAD”: didattica a distanza. Ero totalmente disorientata quando è iniziato tutto, a tratti non credevo stesse accadendo davvero, forse non me ne rendevo neanche conto.La comunicazione con i professori era cambiata radicalmente, eravamo tutti dietro ad un monitor, con fotocamere accese per poter mantenere ancora il contatto visivo e voci che si alternavano.
Era tutto così strano, diverso, così poco reale. Ecco, sembrava irreale non avere contatti con nessuno, restare chiusa in camera per ore e avere la voce dei professori tra le mura di casa mia. Ero ferma davanti ad uno schermo, tra la connessione non funzionante perfettamente, l'ansia per le verifiche, l'incertezza del domani e l'unica certezza che non sarei più ritornata nella mia scuola.
Niente sveglia alle 5:00, niente più campanella all'ultima ora, niente pullman, niente infinite attese al bar, nessuna interrogazione alla lavagna, niente più risate con le altre ragazze. La mia routine era stata completamente spazzata via, sostituita da un nuovo modo di interagire, sicuramente più difficile da affrontare, nuovo, spiazzante per tutti.
Nonostante ciò, tra giorni complicati, mattine in cui la voglia di restare a letto prendeva il sopravvento, difficoltà nel collegarsi, distrazioni, suggerimenti, visi stanchi e amareggiati, siamo riusciti a non interrompere il nostro percorso di studio.Un percorso sicuramente lungo, pieno di insidie, di difficoltà, di giorni trascorsi davanti ad uno schermo, faccia e faccia con una realtà completamente nuova, a contatto con il mondo della tecnologia che è diventato nostro amico per aiutarci a superare un nemico che non si mostrava a noi, ma colpiva forte.
Era tutto più semplice e veloce, divertente sotto alcuni aspetti, mi sentivo meno sola, capita, pensavo a come tutti stessimo affrontando la stessa cosa e così ci ho fatto l'abitudine.Restare nella mia camera, nel mio ambiente, ha iniziato a piacermi, mi sono organizzata e pian piano è diventato tutto più naturale.
Compiti da consegnare, scadenze, messaggi di continuo, PowerPoint, occhi stanchi. Tutto ciò ha fatto parte della mia vita per mesi, ma nonostante tutto, l'anno sta per finire e credo di averlo portato a termine comunque con grinta e determinazione. Anche se la forza molte volte non era sufficiente, avevo voglia di mollare tutto, pensavo di non farcela, volevo riprendere la mia vera vita, ma proprio per questo sono andata avanti per la mia strada, cercando di trovare sempre il lato positivo di tutta la situazione e così mi sono detta che restare struccata e in pigiama per fare lezione, non era poi così male.
Siamo stati sostenuti, spronati, incoraggianti e anche talvolta rimessi in riga dai prof, che hanno cercato di dare il massimo per farci sempre sentire una classe ancora integra e non distrutta da un'emergenza sanitaria. Mi sono resa conto quanto la scuola sia importante, rimpiango tutte quelle piccole cose che dietro ad uno schermo non potevano essere raggiunte, come gli sguardi tra noi ragazzi, vedere i prof dietro ad un cattedra, il calore umano, tutto ciò è impossibile da sostituire.
Ma ci abbiamo provato, non permettendo ad uno schermo di dividerci, bensì di unirci, nella consapevolezza che l'istituzione scolastica rappresenti per noi ragazzi un pilastro fondamentale per la nostra crescita e maturazione. Mesi duri, difficili, interminabili, trascorsi nelle nostre case, una lotta contro il tempo che sembrava non passare mai, che scorreva lento sull'orologio o probabilmente scorreva troppo in fretta, portando via ogni cosa.
Per circa due mesi, siamo stati nel nostro caldo nido riparato, la maggior parte del tempo con le cuffie nelle orecchie, in una stanza troppo grande, a fissare il soffitto e pensare che forse la mia solita routine sarebbe potuta riiniziare tra mesi o magari non farlo proprio.
Ho provato a fare i conti con me stessa, a riflettere, a chiedermi cosa volessi davvero. Così ho capito che non c'è un qualcosa che voglio davvero, ho solo la profonda voglia di vivere. E non intendo farlo mica come prima, non pensando e ripensando a quale sia la cosa giusta, non con l'ansia perenne di non riuscire a godermi un momento, non essendo sempre fredda e irremovibile, non restando sulle mie, no, non rimandando sempre a domani ciò che avrei potuto fare oggi. Ma liberandomi di tutto e ricominciando a vivere, ma per davvero.
Allora forse dovremmo solo vivere nel momento in cui tutto questo finirà definitivamente, perché poi potrebbe essere troppo tardi, perché poi magari... non ci sarà più tempo. Forse dovremmo soltanto amare chi vogliamo, dirglielo, fare tutto ciò che ci passa per la testa, spegnerla e lasciarci andare alle emozioni. Sentirle sulla pelle, nella pancia, ascoltare il cuore battere, sentirlo in gola, lasciarlo libero di sbagliare e poi rinascere.
Ballare, cantare a squarciagola, ridere, andare a vedere il mare, guardare il tramonto, l'alba, sdraiarci sull'erba, sentire il vento sul viso, la pioggia addosso, la pioggia dentro, piangere, urlare e ricominciare sempre, con qualche graffio in più ma con la voglia disperata di essere liberi, di fare tutto ciò che vogliamo fare, di assaporare ogni secondo.
È come se in un battito d'ali, noi non ci fossimo più e svanisse tutto.Cosa è rimasto a quelle povere persone che si sono ritrovati in terapia intensiva? Cosa ne hanno fatto della loro vita se poi gli ultimi giorni li hanno trascorsi lontani dalle persone che amavano?Se l'ultimo respiro è stato emanato da soli, con loro stessi?
A noi oggi, resta solo tanto rammarico per tutte quelle persone che hanno vissuto una tale atrocità, per tutte quelle famiglie a cui è stata tolta una persona cara, a cui resta solo un immenso dolore, per tutti quei medici che lottano ogni giorno per salvare altre vite umane e che non saranno mai come prima perché distrutti psicologicamente. Restano i pensieri a chi non ha più lavoro, a chi ha sofferto dentro casa perché vittima di violenza, a chi non aveva una situazione serena, a chi non aveva un piatto caldo sulla tavola per pranzare insieme alla propria famiglia, a chi una famiglia... non ce l'ha.
C'è stata data la possibilità di riiniziare, con le dovute precauzioni, proprio per questo dobbiamo cercare di riprendere in mano la nostra vita, non dimenticando i lunghi mesi in cui ci mancavano i nostri affetti, in cui volevamo ritornare in classe, eppure siamo sempre restati uniti e coesi. Tra una lezione e l'altra, i compiti da consegnare in orario, ho capito che tutto ciò mi è servito per crescere e rendermi conto che si può affrontare ogni cosa, perché difficile o meno che sia, si esce fuori da ogni situazione.
A settembre spero di poter varcare il cancello della mia scuola, fare le scale e sedermi al mio banco, magari pensando a tutto questo come ad un incubo ormai passato, ma che ci ha lasciato sicuramente profonde riflessioni.
Vorrei poter dire: "ABBIAMO VINTO NOI", perché credo sia così, non ci siamo arresi, lasciando andare un nemico che pian piano sembrerebbe stia svanendo nell'oblio.
*III^C Liceo Scienze umane “Fermi” Cz Lido
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