di ROBERTO BISCARDINI*
"Nelle settimane scorse l’Istat ha rilevato nel primo trimestre 2023 una crescita del
PIL e stimato per tutto il 2023 un incremento del 1,8. Ciò ha consentito al nostro
Governo di cantare vittoria, ma nulla si è detto circa la crescita o la decrescita del
Sud. Anche perché altrimenti emergerebbe una debolezza strutturale dell’iniziativa
pubblica, confermando, purtroppo, che l’economia meridionale non va ancora
assolutamente bene. Basta il dato dell’ultimo rapporto Svimez. Nel 2023 il PIL
meridionale si contrarrebbe fino a -0,4% nonostante la crescita del centro-nord. Nel
rapporto Svimez si rilevano inoltre alcuni dati allarmanti. Per esempio alla crisi
economica complessiva e alle carenze infrastrutturali si attribuisce al progressivo
disinvestimento nel settore dell’istruzione la debolezza del sistema economico anche
per il futuro.
Con una povertà sempre in crescita, stimata per il 2023 di 760.000 nuovi poveri al
sud e una situazione occupazionale assolutamente negativa. Ciò conferma che per il Sud le cose sono andate male anche in questo ultimo decennio e non si vede alcuna inversione di tendenza. Dopo gli anni del coronavirus si aprono quindi tre scenari possibili.
Il primo, la ferocia del sistema capitalistico e liberista potrebbe aggravare ancora di
più le diseguaglianze tra Nord e Sud. Il secondo, la debolezza delle istituzioni e della politica incoraggia la rassegnazione della popolazione e l’accettazione passiva delle regole del mercato, quindi della povertà.
La terza ipotesi, positiva, è quella che dovremmo avere davanti a noi come
riferimento principale di una nuova lotta politica. Affinché contando sulla rinascita di
una politica più autorevole, sostenuta da una coscienza civile diffusa e da un
movimento delle forze lavoro occupate o sfruttate, si possa, nel coordinamento tra
istituzioni locali e politiche di sostegno dello Stato centrale, definire un nuovo
progetto di crescita e sviluppo. D’altra parte, senza uno Stato forte, nazionale e locale, il Sud è destinato ad essere ancora meno influente, aggravando diseguaglianze ed ogni tipo di distanza. La distanza tra ricchi e poveri. La distanza tra chi ha il lavoro e chi non ce l’ha. Tra i garantiti e i non garantiti. La distanza culturale e di accesso alle opportunità. La distanza tra popolazioni urbane e popolazioni rurali. La distanza tra chi può contare su servizi sociali (sanità, scuola e casa) e chi no. Ma soprattutto la distanza tra Nord e Sud.
Dentro questo quadro c’è la Calabria, che rimane la regione con il tasso più basso di
produzione di ricchezza e con il più basso PIL pro-capite italiano. Con 800.000
persone che vivono in famiglie a rischio povertà, pari al 40% della popolazione. Una regione che, partendo da una posizione svantaggiata anche rispetto alle altre regioni del Sud, avrebbe bisogno di marciare a una velocità ancora maggiore delle altre e persino del Nord per ridurre le distanze e avvicinarsi al maggiore equilibrio economico possibile, in un tempo relativamente breve.
Il cambio di rotta può avvenire rimettendo in campo la battaglia politica per lo sviluppo, attraverso l’azione di uno Stato più imprenditore, in grado di mobilitare
ingenti investimenti pubblici, riscoprendo il valore della programmazione
pluriennale, non subendo soltanto la logica del mercato. Certo siamo certamente lontani dagli anni virtuosi della programmazione economica e del Progetto 80, quando ci interessavamo del Sud puntando tutto sul riequilibrio economico, sulla sua industrializzazione e sul recupero di tutte le risorse produttive, da quelle agricole e ambientali, per ridurre la forbice tra Nord e Sud e contrastare lo spopolamento. Che in base ai trend attuali potrebbe sottrarre alla Calabria entro il 2050 circa 600.000 abitanti. Un’enormità.
Così come bisogna contare sulle politiche attive per il lavoro. Per evitare gli errori
commessi in questi ultimi anni, quando si è consentita la precarizzazione dei ceti
medi e si è toccato il fondo con il lavoro senza tutele. Sfruttamento e persino
schiavitù.
Politiche del lavoro per nuova occupazione, rafforzando i punti di eccellenza nei
settori manifatturieri e in quelli ad alta tecnologia, per favorire una nuova politica
industriale e la localizzazione di nuove imprese (come per altro sta avvenendo in
questo ultimo periodo persino negli Stati Uniti, la patria del libero mercato, attraverso
forti incentivi pubblici). La nascita di nuove fabbriche e di una nuova classe operaria
non è assolutamente impossibile anche da noi.
Ma anche nuova occupazione impegnata nella messa in sicurezza del territorio, per la
difesa idrogeologica, per la qualità dell’ambiente, vero e straordinario patrimonio
della Calabria, mai sufficientemente valorizzato. Così come la riqualificazione del
patrimonio edilizio degli antichi borghi. Ma veniamo al un punto centrale della questione.
Come recuperare il deficit infrastrutturale, indicando le necessarie priorità dentro una
visione regionale complessiva. Dalla riqualificazione, in primo luogo, della rete
principale delle ferrovie, lungo le coste ionica e tirrenica, fino alla realizzazione in tempi brevi del progetto di Alta velocità (che già negli anni ’70 chiamavamo
“ferrovia continentale”), affinché si possa raggiungere Reggio lungo la dorsale
calabra, passando per Cosenza. Per garantire quindi facile accessibilità, non solo agli
insediamenti costieri, ma anche ai centri urbani più interni, quelli storici e ricchi di
patrimonio artistico e monumentale. Centri nevralgici del rilancio di un nuovo
turismo di massa.
Un sistema rafforzato dal potenziamento delle linee trasversali, che già allora
chiamavamo “ferrovie metropolitane regionali”, cioè con un servizio rimico e
frequente, come la Sibari-Paola (con una possibile diramazione da Spezzano verso
Belvedere Marittimo) e naturalmente il potenziamento della Lamezia Terme-
Catanzaro e della Gioia Tauro-Siderno.
Un sistema al quale dovrebbero aggiungersi servizi di trasporto su gomma (ma anche
per tratte sistemi a guida vincolata) per difendere le prerogative degli insediamenti
collinari che si trovano sulle pendici e sui terrazzi delle Serre e dell’Aspromonte alla
quota dei 300/500 metri di altitudine.
In questo senso, l’Alta velocità per Cosenza e per Lamezia Terme rivaluta, in modo
baricentrico, l’intera area vasta interna, valorizzando nel contempo una città, con una
grande storia, che ha avuto sempre un ruolo importante nella formazione di quadri e
produzione di cervelli, dalla cinquecentesca Accademia Cosentina alla moderna
Università di Rende.
Certo, una prospettiva di sviluppo che ha bisogno di forti energie in una situazione in
cui non basta più l’opposizione, ma occorre saper contestare, al confine della
ribellione, gli errori, le scelte sbagliate e le negligenze dei governanti. Quindi, se è vero, come spesso viene enunciato, che occorre investire al Sud per salvare l’Italia, una questione altrettanto centrale è che occorre salvare la Calabria per salvare il Sud".
*Architetto e urbanista, già docente universitario
Deputato regionale in Lombardia e senatore della Repubblica
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