Si stava meglio quando si stava peggio?

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Tullio Barni
  22 agosto 2019 21:55

di TULLIO BARNI


Si stava meglio quando si stava peggio! Questa era la classica frase che i miei genitori ripetevano quando chiedevo loro:un nuovo paio di scarpe, il motorino nuovo (un cinquantino!) gli ultimi pantaloni alla moda o il permesso di lasciarmi allungare i capelli.La frase più o meno continuava così:”Ai nostri tempi ci si divertiva con nulla, ci si voleva tutti bene e le porte delle case erano sempre aperte con le chiavi nelle serrature!” I miei genitori, come penso molti della loro generazione, si divertivano con niente per il semplice motivo che non avevano niente. Durante la guerra, come anche nel dopoguerra, è facile immaginare quale fosse, purtroppo, la situazione a cui dovevano fare fronte le persone della generazione dei miei genitori. Si volevano tutti bene perché, nell’emergenza,noi italiani, facciamo esplodere il nostro spirito solidale che, forse naturalmente, passata la tempesta, piano piano si attenua per poi riemergere alla prossima calamità. Non si stava meglio quando si stava peggio! Quando si stava peggio, si stava decisamente peggio! Le vaccinazioni, gli antibiotici, l’igiene, hanno abbattuto drasticamente la mortalità infantile ed insieme ai progressi della medicina hanno aumentato l’aspettativa di vita in misura mai vista prima. Un tempo, diceva sempre mia madre, non c’erano tutti questi tumori! Non c’erano perché le cellule del nostro corpo, per diventare “maligne”, hanno bisogno di tempo che, purtroppo, prendono dall’allungamento delle nostre vite, che fra l’altro ha fatto esplodere le cosiddette malattie degenerative del Sistema Nervoso, in primis l’Alzheimer.
Dobbiamo essere consapevoli che la medicina non fa miracoli e che l’azione dell’uomo è, potremmo dire, inevitabilmente ambigua, tanto che gli antichi greci utilizzavano la parola Pharmakon sia per riferirsi al veleno che al rimedio al veleno. Come è noto infatti, non esistono farmaci che non abbiano anche quelli che si definiscono effetti collaterali. Sarebbe bello poter aggiungere anni della nostra gioventù alla vecchiaia, ma non è possibile. Alla nostra vecchiaia si aggiunge vecchiaia con tutto quello che può comportare.
Questo tipo di lamentele “generazionali”, mutatis mutandis, le sento ripetere spesso anche dalle persone della mia generazione (classe 1953), questa volta riferite al comportamento dei giovani d’oggi rispetto alla nostra gioventù : “ Noi eravamo meno superficiali, studiavamo di più, leggevamo più libri.I giovani d’oggi sono incollati a questi maledetti telefonini, si sentono connessi con il resto del mondo ma in realtà sono sempre più soli, non dialogano più se non attraverso il telefonino”. E’ ovvio che non possiamo fare paragoni con il telefonino che quando eravamo giovani noi non c’era. Comunque ci saremmo comportati meglio? Ne dubito. Infatti noi venivamo criticati e brontolati, perchè stavamo incollati “passivamente” davanti alla televisione a vedere Rin Tin Tin, Lessie, Ivanhoe, Lancillotto del lago e soprattutto Carosello con Calimero il Pulcino Nero e Carmensita.....“chiudi il gas e vieni via”.
Viviamo, volenti o nolenti, in quella che Luciano Floridi ( Luciano Floridi.La quarta rivoluzione.Come l’infosfera sta trasformando il mondo. Raffaello Cortina) chiama Infosfera, in quell’ecosistema dell’informazione che, come la rivoluzione agricola prima e quella industriale poi, ha cambiato le nostre vite. “ IL 70% del PIL dei paesi del G7 dipende da beni immateriali fondati sull’uso dell’informazione piuttosto che su beni materiali prodotti da processi agricoli o industriali”
Siamo così immersi in questa “nuvola di dati” che anche il gesuita Antonio Spadaro, direttore della rivista Civiltà Cattolica, non può non tenerne conto: “ La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza....” (Antonio Spadaro. Cyberteologia.Pensare il cristianesimo ai tempi della rete.Vita e Pensiero)
Dall’aratro al cannocchiale di Galileo al ciclosincrotone del CERN di Ginevra, l’uomo ha sempre fatto uso della tecnologia non fosse altro perchè, come ci ricorda Felice Cimatti siamo esseri “naturalmente artificiali”. (Felice Cimatti. Il senso della mente.Per una critica al congitivismo.Bollati Boringhieri) E se oggi a scuola i ragazzi portano il tablet o i telefonini, prima esistevano altri “strumenti cognitivi” come i gessetti e le lavagne (Gino Roncaglia. L’età della frammentazione.Cultura del libro e scuola digitale.Laterza) Così, nel tempo, le pregamene, i papiri o i primi libri di carta ricavata dalla lavorazione del lino o della canapa sono stati sostituiti dagli E-Reader, secondo quelli che potremmo definire i percorsi creativi della nostra storia evolutiva (Marco Cursi. Le forme del libro.Dalla tavoletta certa all’e-book. Il Mulino). Tutti questi strumenti, indistintamente, hanno il potere di modellare il nostro cervello creando l’architettura dei nostri circuiti nervosi perchè come ci ricorda Edoardo Boncinelli : “ Alla nascita nessuno è figlio del suo tempo, ma l’interazione continua con le persone che ci circondano e la comunicazione verbale e non verbale modificano materialmente il nostro cervello” (Edoardo Boncinelli.Noi siamo cultura.Rizzoli) Oggi parleremo di Epigenetica, cioè quell’armonioso accendersi e spengersi dei nostri geni che fa di noi quelli che siamo, implacabilmente diversi da tutti gli altri 7miliardi di persone che abitano con noi il pianeta Terra (Ernesto Di Mauro. Epigenetica. Il DNA che impara. Asterios).Il passaggio da una cultura analogica ( quella del libro) a quella digitale (quella di internet) ci ricorda un periodo storico altrettanto traumatico che indelebilmente ha segnato un’ altra epoca storica :il passaggio dalla cultura orale alla cultura scritta(Walter J.Ong.Oralità e scrittura.Le tecnologie della parola.Il Mulino. Eric A. Haevelock. Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone. Laterza). Ed è stato Platone con i suoi Dialoghi, in particolare con il Fedro, ad accompagnarci, con limpida saggezza, nel mondo della scrittura.
Esiste solo un luogo dove le diverse generazioni si possono incontrare e questo posto non può essere che la scuola. “ Noi abbiamo il dovere di consegnare ai nostri figli, nativi digitali, il patrimonio di migliaia di anni di cultura analogica (la cultura del libro). Il rischio è che non condividendo lo stesso codice di comunicazione, non riusciamo a comunicare loro il valore e la rilevanza della nostra tradizione”(Paolo Ferri. I nuovi bambini.Rizzoli)
Non è certamente oro tutto quello che riluce! Ed infatti Luciano Floridi ci invita a farci carico di quell’”Ambientalismo Digitale”, avendo premura di contemperare quell’esigenze dell’umano che non dovranno mai scomparire perchè inghiottite da una gigantesca nuvola di Big Data. E Mark Prensky, l ‘inventore della locuzione “nativi digitali”, così argomenta :” I saggi digitali distinguono la saggezza digitale e la semplice destrezza digitale e fanno del loro meglio per sradicare la stupidità digitale.Essi sanno che il semplice sapere come usare una tecnologia non rende più saggi di quanto non lo faccia il semplice saper leggere le parole”.(citato in I Nuovi bambini)
Sono caduti i muri, ma la Storia non è finita come ingenuamente qualcuno ha sentenziato (Francis Fukuyama. La fine della storia e l’ultimo uomo.Rizzoli), e si sono costruiti ponti, ponti molto speciali che abitano sulle “Nuvole” che dovrebbero servire, quanto meno, a non farci considerare come pregiudizialmente nemici quei 7 miliardi di persone che con noi abitano il nostro Pianeta. Non era mai successo prima di avere la possibilità, connettendosi, di attenuare le nostre specificità per aprirsi a quell’umanità che inevitabilmente ci rende tutti ugualmente umani (Arjun Appadurai. Il futuro come fatto culturale. Saggio sulla condizione globale. Raffaello Cortina). Non facciamoci scappare questa stupenda occasione.

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