di STEFANIA PAPALEO
Un certificato medico redatto a richiesta. Una diagnosi di "sospetta psicosi" che porta un uomo dritto in ospedale con un Tso (trattamento sanitario obbligatorio). Una diagnosi ritenuta completamente infondata, in quanto mai riscontrata durante e dopo il ricovero. Tutto questo sta alla base del procedimento penale che oggi è sfociato nel rinvio a giudizio dell'ex sindaco di Strongoli Luigi Arrighi, ovviamente nella sua qualità di medico, da parte del gup del Tribunale di Crotone Assunta Palumbo, che ha accolto la richiesta avanzata in tal senso dal pm Rosaria Multari.
Al centro della scena, una "denuncia-querela" presentata da un avvocato di Strongoli e dalla moglie, che lamentavano presunti comportamenti anomali da parte di un cittadino di Strongoli che, secondo la difesa di quest'ultimo, non avrebbe invece mai manifestato alcun segno di alterazione psichica o di comportamento pericoloso per sé o per gli altri. Eppure la mattina del 3 maggio 2022 sarebbe bastato il certificato medico "incriminato", rilasciato senza una visita diretta del paziente, ma sulla base di una mera supposizione, per indurre l'allora sindaco Sergio Bruno a predisporre il ricovero coatto dell'uomo. Da qui l'avvio delle indagini con il coinvolgimento dell'imputato e il suo rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Crotone, per il processo che inizierà il 20 marzo 2025.
L’imputazione.
Il medico di Strongoli è accusato di falso ideologico in atto pubblico mediante induzione in errore del pubblico ufficiale per avere indotto in errore l'allora sindaco di Strongoli, il quale ordinava un accertamento sanitario obbligatorio nei confronti di un cittadino strongolese, sulla base di una richiesta di trattamento sanitario obbligatorio redatta dal citato medico, nella quale quest’ultimo attestava falsamente che il menzionato paziente presentava “stato di agitazione psicomotoria e alterazioni psichiche tali da richiedere urgente intervento terapeutico”, nonché che “la proposta di ricovero non viene accettata dal paziente e non ci sono, al momento presente, condizioni o circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure curative extra-ospedaliere” quando, in realtà, il medico non si sarebbe mai recato a visitare il cittadino in questione.
Un trattamento sanitario obbligatorio ingiustificato, insomma, secondo l'accusa, quello imposto al paziente, peraltro seguito dal medico imputato per problemi di riabilitazione fisica legati a gravi interventi chirurgici, senza che lo stesso avesse mai mostrato segni di "agitazione psicomotoria" o "alterazioni psichiche" tali da giustificare un trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Inoltre, è emerso che, nel giorno in cui è stato redatto il certificato, nessun medico ha visitato il citato cittadino, che si trovava a casa sua in compagnia di un operatore sanitario, il quale non solo ha confermato tale circostanza, quanto che la “vittima” non presentava assolutamente segni di agitazione o comportamento anomalo.
Piuttosto, "l'uomo, già segnato da gravi patologie fisiche, è stato costretto a vivere un incubo che ha avuto conseguenze devastanti per la sua psiche e il suo benessere, con violazione della sua libertà, ma anche con danno morale incalcolabile, che si è tradotto in un profondo sconvolgimento psicologico", hanno commentato i suoi legali, plaudendo alla decisione del Giudice di rigettare la richiesta di messa alla prova per il medico e di rinviarlo a giudizio, "segnale importante che la giustizia sta facendo il suo corso. Il rigetto della richiesta di lavori socialmente utili, così come l'opposizione del Pubblico Ministero, dimostra che la gravità dei fatti non può essere minimizzata. Le violazioni commesse dal medico e da eventuali altre persone vanno perseguiti con la massima severità. Ora, in nome della giustizia, è fondamentale che chi ha contribuito a questa ingiustizia sia chiamato a rispondere delle sue azioni, affinché tale cittadino di Strongoli possa ottenere giustizia e il sistema venga riformato per evitare che simili abusi possano ripetersi in futuro. Il caso del cittadino di Strongoli è un esempio lampante di come il sistema sanitario e amministrativo possa, in determinate circostanze, diventare uno strumento di abuso nei confronti di chi è più vulnerabile. La sua vicenda merita di essere trattata con la massima serietà, e la vittima ha diritto a vedere riconosciuti i suoi diritti, ripristinando la sua dignità e tutelando la sua salute mentale e fisica", hanno concluso i legali.
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