Domenico Bilotti: "I costi sociali della pandemia non sono finiti"

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Domenico Bilotti
  11 settembre 2022 10:50

di DOMENICO BILOTTI

La notizia è apparsa in forme simili tante volte in Italia negli ultimi 24 mesi: oltre cinquanta indagati a vario titolo, principalmente lo svolgimento di manifestazioni non autorizzate, nel periodo in cui l'emergenza Covid era perimetrata da stringenti limiti legati al contenimento del contagio.

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Mascherine, assembramenti vietati, per frangenti piuttosto lunghi, addirittura orari vietati, col modello del coprifuoco. Contestazioni di piazza dove figurano attivisti di provenienza diversa, anche dal punto di vista ideologico, non solo geografico. Facile il titolo: l'alleanza degli opposti estremismi, il disfattismo rossobruno e via cantando. Sol che così si fa un po' di confusione: queste note non vogliono dipanarla (non potrebbero), né esibirsi in un gamba tesa molto becero sulle vicende giudiziarie di chicchessia (non vogliono) o smentire i tanti egregi sforzi collettivi e individuali che ci portano ora a una migliore fase pandemica (non devono). 

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Alle prossime elezioni politiche, si presentano almeno tre liste, nella ventina di quelle formalmente rappresentate, che a patto fondativo della propria azione mettono una sinergia tra elementi di destra e di sinistra, in nome dell'odio dichiarato a un malinteso mainstream. Antagonismo e complottismo sono due cose, però, profondamente diverse: lottare contro i luoghi comuni è esattamente l'opposto che sparare addosso a quel minimo kit di regole di convivenza chiamato a trainare fuori dalle situazioni più dure. Semmai, quel tipo di politico specula scimmiottando a proprio comodo, e con parole d'ordine né risolutive né pratiche, un disagio sociale largamente trasversale e trasversalizzato, che trova limitato sbocco nelle forme partitiche tradizionalmente intese. Attaccare il degrado e reclamare prestazioni può essere una percezione comune, ma le soluzioni pratiche e le sensibilità concrete con cui lo si fa nel quotidiano possono, vivaddio, essere positivamente e significativamente diverse. 

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Andando ad almeno il primo anno, anno e mezzo, di pandemia - quello dell'alienazione più improvvisa e della sofferenza civile più acuta - siamo passati sotto un treno e i fatti stanno a dircelo chiaramente. Le piccole attività commerciali avevano investito: investimenti dispersi in aperture strozzate, non sempre razionali. Le norme di riferimento cambiavano mensilmente, o meno, aumentando malcontento, insoddisfazione, spaesamento: farraginose discipline di dettaglio, a volte platealmente disapplicate, a volte pretese con ferrea aderenza. Lavori e attività di contatto bandite, non immediatamente traslabili alla rete (anche in servizi essenziali come istruzione e salute).

Più assumevamo la pandemia come criterio di fatto guidante per ogni nostra attività, più la battaglia contro il morbo sembrava non riuscire ad avere capo e uscita. Le emergenze, anche quelle più crude ed evidenti, hanno il limite di esasperare le differenze e le diffidenze tra chi ne patisce lo scarico e chi ne guida l'urto. Anche il meccanismo giuridico del green pass è lecito ritenerlo riuscito a metà. La cosa più proficua in quella esperienza è stato stimolare la copertura vaccinale: non se ne dispiacciano i primitivisti che hanno buttato veleno su ogni ritrovato medico. Con tutti i loro rischi, con tutte le controindicazioni possibili, con tutte le incertezze di una ritmica accelerata, i vaccini hanno avuto effetti piuttosto durevoli nel ridurre drasticamente la mortalità e l'ospedalizzazione grave. E va pur aggiunto che, tra non pochi che venivano da un quadro clinico complesso o addirittura sconsigliato per quelle somministrazioni, si issavano a predicatori del verbo no vax soggetti prontamente vaccinati o privi di patologie escludenti o corifei di storie improbabili sulla composizione dei sieri o regolari assuntori di farmaci di consumo con una percentuale molto più alta di reazioni avverse. 

Insomma: ancora una volta, la vera difficoltà di vita aveva un solo e grande nemico. La strumentalità e l'opportunismo di chi voleva nascondersi dietro di lei. 
Il green pass è stato gancio marketing per un Paese poco coeso, spaventato, in balia dell'eterno opinabile che non ha niente del rigore interiore del dubbio in etica, in politica, nella scienza. 
Non ha funzionato invece (o all'opposto ha funzionato di più, ma non risolvendo in nulla i miasmi pregressi) quando è stato utilizzato per realizzare una lenta ricomposizione socioeconomica della spesa: mano a mano che scalavi la classifica virtuosa della protezione immunitaria, venivi progressivamente ricondotto da soggetto contagiabile a consumatore munito della libertà negoziale. Con autocoscienza e solidarietà sociale si sarebbe forse fatto poco, non si è provato nemmeno. 

Molto diverso lo sforzo degli attivisti e dei cittadini che hanno invece tentato a modo loro di dare voce al disagio sociale da crisi pandemica, che era diffusamente inascoltato. Dietro lo schermo degli interrogativi civili si è agitato molto: abbiamo visto la via Crucis profanata a corteo per provocare, le piazze a ferro e fuoco, i pestaggi e conseguentemente i sospetti e gli odi nelle sedi della democrazia partecipativa. Questi fenomeni non sentiamo invero di metterli sotto il cappello della giustificabilità, ma fortunatamente in Calabria non ve ne sono stati e, se si sono mossi, meno che altrove e decisamente minoritari rispetto a iniziative e rivendicazioni meno ad arruffapopolo, meno a creare baruffa, meno a sbraitare senza concludere. 

Chi ha fatto parte di quella domanda collettiva così varia e però in punti non dappoco variamente fondata non va equiparato ai trapezisti del malcontento professionale, agli usurpatori violenti dei disagi comuni, ai bofonchiatori di verità del tutto antiscientifiche. Erano mesi complicati: c'è chi ha voluto riposizionare agibilità di spazi di conflitto, interrogando i disvalori che emergevano, e chi ha semplicemente voluto capire come riprendersi un quarto d'ora di celebrità. Ma costoro non stavano nelle piazze, nei mercati, nelle famiglie messe sotto stress dal contesto. 

Negli ultimi quindici anni di vita italiana, ecco, un precedente c'è. Tra il 2008 e il 2013, quando tra la bolla immobiliare, l'austerità e lo spread, il disfacimento dell'economia reale a presidio di quella finanziaria aveva inevitabilmente portato a un aumento di tipologie di illecito legate alla resistenzialità: occupazioni abusive, omissione necessitata di prestazioni tributarie davvero poco progressive, azioni di protesta in imprese di grandi marchi o presso enti erogatori. 

Con studiosi e amici di tutta Italia, si arrivò a formulare un appello propedeutico a un'amnistia e a un temperamento di questi illeciti sociali, sui quali il momento storico aveva scopertamente soffiato molto più delle mere responsabilità individuali -lo dicevamo, guarda caso, tra libertari, democratici, attivisti e moderati, giuristi ed economisti, studiosi delle scienze sociali e spedizionieri, tanti, tanti, tanti. Poteva essere una base di ragionamento collettivo e dal basso per la depenalizzazione del penale bagatellare e il contrasto selettivo, efficace, al grande capitale illecito di malaffare. Quella domanda di organizzazione civile non fu ascoltata ma oggi su un piano cartesiano diverso non perde attualità. La pandemia va dissodata nei ritardi diagnostici, nell'adozione di nuove linee guida internazionali, nella condivisione del know how medico, nella difesa dell'impresa di prossimità che la criminalità riesce a spolpare e acquisire proprio quando c'è un baco di liquidità nel sistema. Cominciare dalle voci frammentarie, ma schiette, del malessere che fu non pare destinato a migliorare le nostre condizioni di vita. E il costo sociale della pandemia cresce come il gas, il grano, il caro bollette.

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