Di seguito una lettera firmata da due figli che racconta le recenti 'vicende' sanitarie della propria famiglia
"Nei giorni scorsi nostro padre, persona di 98 anni, è stato sottoposto ad intervento chirurgico, con ricostruzione frattura al femore, presso li reparto di ortopedia di Soverato. L'intervento è perfettamente riuscito e di questo siamo grati al primario, dott. Menniti, ed a tutto il personale del reparto. Iproblemi sono sorti dopo solo 48 ore dall'intervento quando il personale ci ha comunicato che entro le successive 24 ore nostro padre sarebbe stato dimesso per fare rientro a casa. Abbiamo quindi cercato di far comprendere a medici ed infermieri, vista l'età, il contesto familiare (la moglie ha 88 anni ed è invalida a sua volta), e la particolarità dell'intervento a cui è stato sottoposto, l'urgenza di assicurare a nostro padre le continuità del piano di trattamento riabilitativo presso una struttura idonea.
Teniamo a precisare che quanto da noi richiesto non è un favore ma é basato sulla certezza di un preciso diritto dei cittadini, previsto da una legge dello Stato n. 234/2021- Livelli delle prestazioni sociali LEPS, tema di cui tanto si dibatte proprio in questo periodo in merito all'autonomia differenziata. Questa prestazione ha un nome e si chiama "dimissioni protette" e prevede il trasferimento di una persona non autosufficiente, prevalentemente anziana o disabile, che ha bisogno di una continuità di cura ed assistenza, da un reparto ospedaliero ad altra struttura assistenziale idonea per il proprio piano di cura, con li coinvolgimento dell'azienda sanitaria di appartenenza e del medico curante. Teniamo a precisare che le dimissioni protette sono prestazioni già garantite in diversi ospedali della Calabria. Abbiamo tentato di far comprendere al personale del reparto di ortopedia di Soverato le nostre ragioni, previste anche da leggi dello Stato, ma ci siamo trovati di fronte ad un muro invalicabile ed abbiamo toccato con mano come la cura di una persona non necessita solo di un bravo chirurgo ma anche di operatori capaci di ascoltare e di contribuire alla creazione delle giuste condizioni di cura anche dopo le dimissioni dall'ospedale.
Non ci siamo persi d'animo e abbiamo pensato di rivolgerci a chi, eravamo certi, avrebbe saputo tutelare i diritti di nostro padre, vale a dire la direzione sanitaria dell'ospedale. Cosa più unica che rara, presso gli uffici della direzione sanitaria dell'ospedale di Soverato, venerdì 12 luglio u.s., non è stato possibile parlare né con li direttore sanitario, né con un suo delegato, né tanto meno con l'assistente sociale. Tutti assenti. Non è nostro compito approfondire le motivazioni delle concomitanti assenze di figure professionali fondamentali per la tutela della salute dei cittadini. Quella salute che abbiamo dovuto ricercare mediante un ricovero a pagamento presso una struttura privata e con disagi vari e costi onerosi a carico della nostra famiglia.
La presente lettera vuole essere non solo una denuncia per li mancato rispetto del diritto alla salute dei calabresi, tema su cui sollecitiamo anche l'intervento del presidente Occhiuto, nella sua qualità di commissario straordinario, ma anche una richiesta, ai quanti ricoprono cariche di responsabilità, di studiare ed aggiornarsi e verificare che ogni operatore faccia la sua parte ed eviti di trattare male ed umiliare quanti chiedono, legittimamente, il riconoscimento di un diritto. Indossare un camice è prima di tutto un dovere che si deve tradurre in un servizio, responsabile e competente, a favore della collettività. Se si usa il camice per assumere comportamenti poco educati e poco rispettosi li rischio è che, prima o poi, si riceva lo stesso trattamento. E magari a pagarne le conseguenze sono spesso le persone sbagliate".
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