Strage di Cutro, il vescovo Savino: "Si faccia verità su tutte le stragi"

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images Strage di Cutro, il vescovo Savino: "Si faccia verità su tutte le stragi"

  26 febbraio 2025 09:44

"Sulla questione dell’immigrazione ci stiamo giocando la democrazia, la civiltà. Stiamo riportando le lancette della storia ai momenti più bui. Si faccia verità su tutte le stragi, da Lampedusa a Cutro". Sono le parole di monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Ionio, che  questa mattina sulla spiaggia di Steccato di Cutro ha preso parte alle veglia per commemorare le 94 vittime del naufragio di migranti avvenuto il 26 febbraio 2023. Nel secondo anniversario di quella tragedia, accanto alla segretaria del Partito democratico Elly Schlein, monsignor Savino ha chiesto silenzio, “il silenzio ci faccia recuperare il senso di ciò che è accaduto, ci aiuti a chiedere verità e giustizia perché, se il nostro pregare non implica la verità e la giustizia rispetto a questa tragedia che si è verificata qui due anni fa, noi corriamo il rischio anche di offendere, di violentare la preghiera che rivolgiamo a Dio”. Per il presule “è importante fare memoria dopo due anni, non possiamo dimenticare, ogni dimenticanza diventa complicità, diventa organica a chi non ha compreso che la questione migranti non va affrontata con un atteggiamento che vede sempre e comunque nel fratello e sorella immigrati un problema e non una risorsa. Al di là di ogni appartenenza, sulla questione dell’immigrazione - ha ammonito Savino - ci giochiamo una democrazia più matura, una democrazia compiuta, ci stiamo giocando la civiltà”. 

E ancora per il vescovo di Cassano “fare memoria significa attivare processi di cambiamento soprattutto dei nostri atteggiamenti culturali e politici rispetto al fenomeno immigratorio. La storia ci insegna che ogni popolo è figlio dell’incontro di culture diverse ma ho la percezione per non dire la certezza che la storia non ci sta insegnando nulla. Stiamo riportando le lancette della storia ai tempi più bui. Quando sento parlare oggi di deportazione, quando vedo le immagini di fratelli e sorelle in catene mi chiedo: dove siamo arrivati? Non ci ha insegnato nulla la banalità del male? Oggi mi preoccupa il male della banalità, mi preoccupano contiguità, attiguità, atteggiamenti organici a chi crede che i fili spinati, i muri siano la soluzione ai problemi della storia”. L’esortazione del vescovo è stata allora quella di “diventare soggetti capaci di capovolgere quello che sta accadendo qui e altrove in questo frangente della storia” ed ha ricordato i verbi consegnati dal papa Francesco nel suo manifesto programmatico: accoglienza, ascolto, accompagnamento, integrazione. “La sfida – ha indicato Savino – si chiama proprio integrazione, gli immigrati sono fratelli, amici, compagni con i quali costruire una società alta e altra, una società dei diritti non dell’indifferenza e della negazione dell’altro. Sulla fraternità ha fallito la modernità, la post modernità, stiamo fallendo anche noi”. Per questo – ha detto il presule - “sento di dover dire ai familiari, ai superstiti ciò che dissi inginocchiandomi dinanzi alle bare: vi chiedo perdono, vi chiedo perdono, vi chiedo perdono, perché non è possibile nel terzo millennio passare dal Mediterraneo al Cpr”. Monsignor Savino ha infine invocato, ancora una volta, “memoria, verità e giustizia per tutte le stragi, che non ci siano mai più stragi di Lampedusa, di Roccella, di Cutro e che da qui nasca una coscienza collettiva capace di dire che vivere con fratelli e sorelle immigrati è possibile, anzi si deve perché è un diritto che appartiene non solo a noi italiani ma al mondo intero e dalla globalizzazione dell’indifferenza dobbiamo passare alla globalizzazione dei diritti, su questo ci giochiamo il presente e il futuro”.

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Superstiti e familiari tornano sulla spiaggia

 Alle quattro del mattino le candele illuminano la spiaggia di Steccato di Cutro sulla quale il 26 febbraio 2023 si è compiuto il tragico destino di 94 persone che erano a bordo di un caicco partito cinque giorni prima dalla Turchia carico di migranti per schiantarsi a pochi metri della riva, dalla salvezza, dalla promessa di un futuro migliore. Due anni dopo su quella spiaggia decine di persone si sono ritrovate per una veglia silenziosa, per ricordare quelle 94 vittime, i tanti, troppi bambini, in tutto 35 anche con pochi mesi di vita. Gente comune, volontari, alcuni parlamentari si sono uniti nell’abbraccio ai superstiti e ai familiari delle vittime giunti dall’estero fino a Steccato di Cutro, in cerchio attorno ai peluche e ai simboli della strage. Qualcuno tra i migranti intona una preghiera musulmana, con la lettura della prima Sura del Corano, poi tocca al vescovo di Cassano all’Ionio, Francesco Savino, vicepresidente della Cei, recitare il Padre Nostro. Una rappresentante dei familiari delle vittime e i due pescatori che per primi hanno dato soccorso ai naufraghi lanciano una corona di fiori in mare. Ci sono anche Fatima e Farzeh, parenti di alcune delle vittime, parenti di Asif – quello classificato sulla bara bianca come KR46M0 – il bambino più piccolo morto nel naufragio. La loro famiglia è stata decimata: “Abbiamo guardato il mare e abbiamo posto la stessa domanda che poniamo da due anni: perché non sono andati a soccorrerli? Perché non li hanno salvati?”.

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Cri, "A chi fugge mostrare volto accoglienza"

  "Troppe persone perdono la vita in quel mare che non dovrebbe essere fonte di morte, ma di speranza, tra quelle onde che dovrebbero dare voce al grido di aiuto di chi fugge da povertà, fame, sfruttamento e ingiustizie, piuttosto che soffocarlo. Quanto avvenuto il 26 febbraio del 2023 a Cutro deve farci ricordare, una per una, le 180 vite che c'erano su quell’imbarcazione partita dalla Turchia e diretta nel nostro Paese; deve farci riflettere sull'orrore delle 94 persone morte in mare, di quei 34 bambini che non hanno più potuto sorridere delle loro gioie o abbracciare i propri genitori". Così Rosario Valastro, presidente della Croce rossa italiana, a due anni dalla tragedia di Cutro. "Tutto questo - aggiunge - deve ancora farci riflettere sulla necessità di vedere le migrazioni attraverso gli occhi della nostra umanità, non con lo sguardo egoistico di chi pensa che fuggire da un Paese nel quale ci sono conflitti, crisi sanitarie e povertà sia una colpa. Non lo è e non lo è neppure desiderare un futuro migliore, immaginare la propria vita lontana da odio, carestia, difficoltà. Il mondo dovrebbe difendere e alimentare la speranza di donne, uomini, bambine e bambini in fuga dal proprio Paese e desiderosi di avere un domani migliore in un’altra terra. A quanti di loro fuggono e percorrono la strada per essere liberi dovremmo mostrare la nostra parte più bella, la nostra gioia di accogliere, di condividere, di rassicurare". 

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