Kabiry, 29enne afgano di Kabul, ha spiegato che “le condizione del mare erano peggiorate, i quattro scafisti pensando che ci fossero i poliziotti, hanno fermato la navigazione cercando di cambiare rotta e modificare il punto di approdo. La barca interrompeva nuovamente la navigazione suscitando i malumori e le lamentele di noi migranti, ormai stremati. La situazione era pertanto diventata critica, infatti dopo il repentino cambio di rotta le onde alte hanno iniziato a far muovere e piegare l'imbarcazione sino a quando improvvisamente la barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua e inclinarsi su un fianco. Ho sempre avuto paura che l'imbarcazione potesse imbarcare acqua perché le condizioni del mare non erano delle migliori e le donne e i bambini impauriti hanno sempre pianto e gridato aiuto proprio perché si temeva che l'imbarcazione potesse affondare in mare aperto, l'imbarcazione era in condizioni pessime e non siamo stati equipaggiati con nessun giubbotto galleggiante o qualsiasi sistema di salvataggio”.
“Gli scafisti disponevano di telefoni satellitari e un apparecchio che sembrava di tipo Jammer. I pakistani, sulle direttive dei quattro scafisti, ci tenevano segregati nella stiva per impedirci di salire sul ponte dell'imbarcazione. Ci facevano salire soltanto per esigenze fisiologiche o per prendere pochi minuti di aria, prima di farci ritornare nella stiva”. E' il racconto di un superstite del naufragio di domenica scorsa a Steccato di Cutro raccolto dagli ufficiali di polizia giudiziaria le cui indagini hanno poi portato al fermo di tre scafisti, due pakistani, uno dei quali minorenne, e un turco.
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736