di VITTORIO PIO
Grande successo per la settima edizione di Teatro d'aMare, fra i principali boutique festival nazionali, per le sue capacità di porre l’accento sui dettagli fondanti attraverso una serie di eventi più intimi ed esclusivi. I suoi principali elementi distintivi sono la capacità limitata e le attività complementari, fra laboratori (in questa edizione quello extra-vagante per viandanti ed autoctoni, a cura di Ludovica Franzè e Sebastiano Sicurezza), presentazioni di libri ed incroci con altre arti, molto apprezzate nell'indice delle mostre, le opere su materiale tessile della scultrice Nadia Riotto.
Un altro dei suoi punti di forza è risultato la posizione idilliaca dei luoghi individuati dagli organizzatori nel centro storico del borgo antico, ovvero il giardino e la biblioteca del Museo Diocesano e l’Antico Sedile dei Nobili e degli spettacoli scelti dai direttori artistici Franco Carchidi e Maria Grazia Teramo, nell'ambito della notevole programmazione dell'Associazione Culturale LaboArt, con il sostegno del Comune di Tropea e di alcuni generosi sponsor privati.
Il tema declinato è stato quello della casa, non solo nel tradizionale significato del luogo fisico in cui si dimora, ma anche per tutto quello che sostanzia il vivere all'interno delle mura domestiche.
Le compagnie ospiti hanno elaborato questo concetto in modo originale ed ispirato, laddove i conflitti relazionali\sentimentali sono stati espressi in un fitto piano verbale, in un climax di battute dall’ironia amara e vagamente decostruttiva, che hanno posto in evidenza la dolente attualità di una società in piena crisi di valori, persino nel fondamentale processo di educazione che ne mina le basi.
Interpretazioni di alto livello nei testi elaborati e rappresentati durante lo svolgimento del festival da Lorenzo Covello, Tamara Bartolini e Michele Baronio, la piccola compagnia Dammacco con una bravissima Serena Balivo in scena, Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani, teatro Rossosimona i cui protagonisti Francesco Aiello, Mariasilvia Greco ed Elvira Scorza, si sono prodotti in una attualissima riflessione sulla difficile sfida della genitorialità odierna, laddove quasi tutto è precario e Quotidiana.com.
Le performance degli attori, l’abilità nel muoversi tra il registro amaro, veemente o disilluso, l'umorismo sotteso, il perdono auspicato e altre sfumature capaci di creare un forte spirito identitario sopra e sotto il palco: chi era presente non ha potuto fare altro che riconoscersi a turno nei personaggi proposti che tratteggiano un'umanità isolata e sospesa fra lo stare e l'andare, la trasmissione dei principi morali, gli spesso laceranti rapporti fra genitori e figli, l'essere spettatore o attore del proprio destino, la fragile e sottintesa precarietà che affligge esistenze in atto o al capolinea.
Legittima la soddisfazione di Carchidi: “In questa settima edizione più che mai ci siamo sentiti casa. Siamo diventati una casa in grado di ospitare e sfamare innumerevoli persone. Dal pubblico agli artisti, ogni incontro avvenuto in questo festival ci ha lasciato un segno indelebile. Sono stati giorni intensi e frenetici che ci hanno consentito di creare legami. Penso che sia questo il motivo per cui continuiamo a fare Teatro d'aMare, quasi in un impeto missionario nonostante le evidenti difficoltà economiche e pratiche che ogni anno ci accompagnano. Creare dei legami con realtà artistiche che vivono talvolta a migliaia di chilometri da noi e riuscire con loro a trovare una sintonia tale da generare un'affinità elettiva è il motivo che ci spinge ad andare avanti.”
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