di TERESA ALOI
Aveva viaggiato, In pulmann e in aereo . Cosenza, Roma Fiumicino, Instanbul. E proprio in quell'aeroporto la polizia di frontiera aveva rifiutato il suo ingresso in Turchia, respingendolo verso l'Italia.
Ma nonostante questo «non venivano individuati i collegamenti esistenti tra il ricorrente e l'ambiente jihadista, che avrebbe dovuto consentirne l'inserimento nelle fila dell'Isis, che costituiva la ragione del viaggio in Turchia».
Sono contenute in 20 pagine e motivazioni della sentenza con cui la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio, la sentenza della Corte d'Appello per Hamil Mehdi il giovane marocchino residente a Luzzi accusato di auto-addestramento con finalità di terrorismo. (LEGGI QUI)
Mehdi fu arrestato nel gennaio del 2016, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare del Gip di Catanzaro, dalla Digos di Cosenza e dal Servizio centrale antiterrorismo. Secondo l’accusa Hamil sarebbe stato un aspirante "foreign fighter" e avrebbe voluto raggiungere la Siria per unirsi all'Isis. Ma, il giovane venne respinto alla frontiera turca e rimandato in Italia.
In primo grado, il gup distrettuale di Catanzaro aveva condannato Mehdi alla pena della reclusione di 4 anni e sei mesi, all’esito del giudizio abbreviato. Una sentenza confermata dalla Corte di Assise d'appello di Catanzaro. Poi, il verdetto della Suprema Corte che, accogliendo le tesi del difensore dell’imputato, l'avvocato Francesco Iacopino, ha ritenuto la condanna non meritevole di conferma, ribaltando le decisioni del giudice per l'udienza preliminare.
Aveva sempre rigettato le accuse, il giovane, sostenendo di essersi recato in Turchia soltanto per motivi religiosi e di non aver alcun collegamento con il mondo del terrorismo islamico. Aveva sempre spiegato che quella trasferta era funzionale per andare a visitare una moschea per effettuare un pellegrinaggio. E in riferimento al viaggio in Belgio, questo era non era stato neppure programmato, ma si erano verificati solo alcuni sporadici contatti con un cugino che abitava lì attraverso il quale sperava di trovare un lavoro.
"Le ragioni lavorative - si legge nelle motivazioni della Corte di Cassazione - l collegate ai contatti telefonici intercorsi tra il ricorrente e il cugino Said, che risiedeva in Belgio, sembrerebbero confermate dal contenuto dell'intercettazione registrata il 24/07/2015, nel corso della quale Hamil manifestava al suo interlocutore l'intenzione di lasciare l'Italia con l'appoggio del congiunto, attraverso il quale sperava di inserirsi nell'ambiente lavorativo belga. Sembra muoversi, in particolare, in questa direzione, il passaggio colloquiale richiamato a pagine 31 del ricorso in esame, in cui il ricorrente rivolgendosi al cugino gli dice: "Vorrei venire in Belgio c'è un lavoro per me? ". Tale ricostruzione del contenuto di questa conversazione, del resto, sembra confermata dal passaggio conclusivo del colloquio, in cui il cugino di Hamil, rispondendo alle richieste formulategli dal ricorrente, affermava: "Non so dirti fratello, non so vieni e cerca la tua fortuna, è difficile trovare un lavoro e se vuoi venire [...]".
E poi, la testimonianza di un detenuto che era stato insieme al giovane marocchino nel carcere di Rossano, e che avrebbe riferito di aver raccolto le confidenze del giovane marocchino di essere "affascinato dall'isis "e di essere "pronto a combattere appena libero". Dichiarazioni censurate dalla difesa per la mancanza di attendibilità. Perché il primo aveva abbracciato la fede cristiana all'interno del carcere rendendo poco credibile che il giovane di Luzzi si potesse confidare con un apostata.
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