Torna d'attualità il "mistero" del commissariamento della sanità calabrese: Loiero risponde a Scopelliti

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Agazio Loiero
  15 settembre 2024 22:08

di AGAZIO LOIERO

Scopelliti e il commissariamento

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Ho appreso con un po’di ritardo che l’ex presidente della regione, Giuseppe Scopelliti, in giro in Calabria per presentare il suo libro autobiografico, ha fatto tappa verso la fine d’agosto anche dalle mie parti. Qui, nel narrare alcuni episodi della sua vita, avrebbe fatto due considerazioni sulla sanità calabrese che suonerebbero, più o meno così. Se è vero che porto la responsabilità del commissariamento della sanità decisa dal governo Berlusconi, un certo coinvolgimento ricadrebbe anche su Loiero. Le versioni riportatemi sull’evento, che non ha registrato un pienone, sono contrastanti e confuse. Se diamo per buona la versione di uno spettatore, non si capirebbe, alla luce dei fatti, da quali abissi della memoria possa emergere anche una mia responsabilità in questa spinosa questione. Ricordo infatti che all’epoca del conferimento ufficiale del commissariamento nella figura di Scopelliti, avvenuto nel 2010 con il suo pieno assenso, io non ero più presidente della regione.

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E visto anche che nessuno, neanche Scopelliti, contestò all’epoca la versione ufficiale dei fatti. Ormai viviamo un tempo in cui le frasi che si lanciano nei dibattiti politici non rispondono più alla verità ma, grazie all’ausilio di una memoria trasandata, all’utilità che se ne trae. Da molti anni, per mia scelta, non faccio alcuna polemica con l’ex sindaco di Reggio Calabria. Dal momento però che io considero quella battaglia da me sostenuta in Consiglio dei ministri per evitare il commissariamento della sanità regionale, una delle più importanti della mia vita politica, forse è utile riportarla nel segno della verità in superficie. Esattamente come all’epoca i calabresi l’hanno letta sulla stampa nazionale e regionale. Quindi anche su “Il Quotidiano”. Procediamo con ordine. Verso la fine del 2009, a pochi mesi dalla fine della legislatura, fui invitato dal premier del tempo, Berlusconi, a partecipare al Consiglio dei ministri, dove si sarebbe discusso del piano di rientro dal debito sanitario calabrese e quindi sarebbe stato nominato un commissario esterno. Un provvedimento inedito in cui la regione fungeva, come spesso le capita, da cavia. Naturalmente in Consiglio dei ministri mi ribellai con tutte le mie forze a questa ipotesi del commissario. Non intendo soffermarmi a lungo sui dettagli di quell’aspro confronto. Ricordo solo che i ministri della Lega e anche il ministro della sanità mi attaccarono senza alcun riguardo non solo nei confronti della regione che rappresentavo ma anche nei riguardi del luogo istituzionale dell’incontro.

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Il Consiglio dei ministri non è il Parlamento dove le forze politiche si accapigliano senza andare per il sottile. Avevo notato, nella mia passata esperienza di ministro, che l’ospite convocato in quella sala austera veniva sempre, anche in presenza di dissenso, circondato da un grande rispetto formale. Devo dire che Berlusconi mi tutelò. Mi concesse il tempo di ribattere, richiamando alcuni ministri che m’interrompevano con frequenza. Aggiungo per onestà che non mi difesi male. Me lo confermò lo stesso Berlusconi quando, alla fine del confronto, mi accompagnò all’uscita.

Avevo approfondito un piano di rientro dal debito come uno studente all’esame cruciale della sua vita. L’avevamo approntato in ogni dettaglio insieme con alcuni bravi dirigenti dell’assessorato alla sanità e con i tecnici dell’Agenas. Non la faccio lunga. Alla fine di un’accesa discussione la figura del commissario esterno, che avrebbe rappresentato un’onta per me e soprattutto per la Calabria, fu scongiurata. A questo punto Berlusconi m’invitò a farmi direttamente carico del ruolo di commissario. Una proposta inaspettata che non nascondo mi mise in difficoltà. Non potendomi consultare con nessuno, dopo qualche secondo di smarrimento, presi una decisione rischiosa. Risposi che non me la sentivo di accettare la proposta perché, se è vero che il commissariamento, attraverso un articolo della Finanziaria, mi avrebbe offerto la possibilità di nominare tutti i manager della sanità senza l’obbligo di passare dalla Giunta, è anche vero che lo stesso articolo mi avrebbe imposto il blocco del turnover, delle assunzioni e l’innalzamento delle aliquote fiscali dei calabresi al massimo consentito. Troppo pesante per la mia regione. A questo punto i ministri della Lega mi assalirono di nuovo. Quando mi fu data la possibilità di ribattere, affermai che se il governo avesse insistito su quella posizione io mi sarei dimesso seduta stante. Berlusconi probabilmente non se la sentì di registrare in Consiglio dei ministri un atto politicamente così grave. Storicamente mai avvenuto prima. Il Commissario non fu nominato.

Dopo poco tempo mi presentai alle elezioni regionali per un secondo mandato. Fui sconfitto da Scopelliti. Il quale accettò quasi immediatamente la proposta del governo e diventò commissario. Aggiunse il fardello della sanità a tutte le altre deleghe trattenute saldamente nelle sue mani all’atto della formazione della Giunta. Una breve digressione di costume politico. Bisogna riconoscere che l’abitudine, così ricorrente, di trattenere presso la presidenza tante deleghe che non possono essere seguite con profitto, rappresenta un’esibizione di forza congeniale, più che agli uomini politici del nostro tempo, agli stregoni inclini ad esibire un potere primitivo nei confronti della tribù. Da quel lontano 2010 i calabresi pagano aliquote fiscali altissime. Lo fanno in silenzio da 14 anni perché ormai il loro sentimento prevalente è la rassegnazione. Con un’aggravante: non riescono più curarsi. Una tragedia a cui l’autonomia differenziata infliggerà il colpo finale

 

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