di PAOLO CRISTOFARO
In Calabria, ormai è palese, il problema dei rifiuti e dell'inquinamento è in primo piano. Ma a fare danno alla regione, da anni, non sono soltanto i rifiuti che si vedono, ma anche - e talvolta soprattutto - quelli che non si vedono. Materiali interrati, sversamenti illeciti, prodotti chimici e nocivi con impatto devastante sull'ambiente. Una delle aree calabresi fortemente attenzionate, proprio per questa tipologia d'inquinamento, è la piana di Lamezia. Circa una settimana fa, la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) ha pubblicato l'ultimo report del 2019. Alcune osservazioni di quel report - già citate anche nella relazione del primo semestre dello stesso anno - riportano l'attenzione sul traffico illecito di rifiuti nel Lametino. I dati sottolineati dagli investigatori, con riferimenti a sversamenti illeciti proprio in quell'area, non possono non richiamare alla mente alcuni passaggi particolari di un altro report, quello scientifico pubblicato, a febbraio 2020, dall'Arpacal, sui valori di Ferro, Arsenico e Manganese proprio nella zona industriale di Lamezia, che lasciano dubbi.
(Le aree monitorate dall'Arpacal)
Il report Arpacal concludeva che "fatti salvi eventuali riconoscimenti di sorgenti puntuali, si evidenzia, quindi, l’opportunità di approfondire il quadro conoscitivo del sito, elaborando un robusto modello concettuale che possa attribuire la presenza dei valori anomali di Arsenico, Ferro, Manganese ed Ammoniaca alla sola componente naturale, ovvero alla combinazione di processi naturali (ambienti riducenti) ed antropici (legati magari a sorgenti diffuse)". Il sito, quindi, parrebbe degno di approfondimenti. Il report aveva già rilevato dei valori superiori alla norma. "Sulla base di tutte le valutazioni effettuate e degli elementi raccolti, i valori anomali di Arsenico, Ferro e Manganese e Ammoniaca riscontrati sono apparsi congruenti con le caratteristiche idrogeochimiche naturali dell’acquifero studiato", avevano scritto.
"Dall'altra parte, dato il particolare contesto in esame di tipo prevalentemente industriale, si deve considerare l'opportunità di approfondire il quadro conoscitivo del sistema in questione. La presenza diffusa nell’acquifero superficiale dell’area ex SIR delle specie chimiche As, Fe, Mn e Ione Ammonio potrebbe derivare, infatti, dalla sommatoria di processi naturali e di quelli antropici legati a sorgenti diffuse", aggiungevano, indicando la possibilità che i valori elevati potrebbero essere dovuti anche ad altro, dato il contesto dell'area industriale. Contesto non estraneo a sversamenti illeciti già appurati dalle forze dell'ordine. E' del 9 marzo scorso - per ricordare l'inchiesta più recente - il caso del sequestro, operato dalla Guardia di Finanza, di 135 milioni di euro ad aziende coinvolte in illeciti ambientali legati proprio a sversamenti incontrollati e depositi di rifiuti proprio nell'ex area Sir di Lamezia.
Sulle vicende dell'inquinamento ambientale nel Lametino, ritorna la DIA con l'ultimo report del 2019. "Inchieste come quella denominata 'Quarta copia' - conclusa dalla Polizia di Stato il 6 dicembre 2019, a Lamezia Terme (CZ), con l’esecuzione di un provvedimento restrittivo nei confronti di 20 soggetti - dimostrano l’estrema duttilità e la spiccata capacità dei trafficanti di rifiuti di rimodulare agevolmente, in caso di necessità, le direttrici illegali. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, dei reati di traffico illecito di rifiuti ed inquinamento ambientale", scrive la Direzione Investigativa Antimafia. "Le indagini sono state originate da un sequestro - operato il 21 giugno 2018, nell’ambito dell’inchiesta “Feudo” della DDA di Milano, dal Commissariato P.S. di Lamezia Terme - di un autocarro nell’atto di sversare illegalmente rifiuti in un sito ubicato in località “Bagni” del Comune di Lamezia Terme", ricordano gli investigatori.
"Gli accertamenti effettuati hanno poi permesso di acquisire significativi elementi probatori in ordine a diversi episodi di illecito conferimento di rifiuti", racconta la DIA, "svelandone un vero e proprio traffico illecito, con conseguente inquinamento ambientale dei terreni ove venivano sversati, peraltro individuando una ulteriore discarica abusiva in località San Sidero, prossima ad alcuni di corsi d’acqua che attraversano l’intero territorio urbano del comune di Lamezia Terme. Va ricordato, anche in questa sede, che proprio nell’ambito della più volte citata operazione “Feudo” si è assistito ad una ulteriore inversione della rotta dei traffici di rifiuti. Infatti, è accaduto che a seguito degli incendi dei capannoni, registrati in Lombardia tra il 2017 e il 2018, sono stati incrementati i controlli da parte degli enti preposti, anche con il sequestro di intere aree fino a quel momento utilizzate per lo sversamento illegale", è scritto ancora nel report.
"A quel punto il sodalizio oggetto dell’inchiesta, per proseguire il business, aveva dovuto rimodulare i propri traffici illeciti, avendo necessità di dover smaltire altrove. Ed è così che i rifiuti, anche speciali, che fino a quel momento erano sversati (e all’occorrenza dati alle fiamme) in capannoni dismessi in Brianza, nel Comasco e nel Milanese (Varedo, Gessate e Cinisello Balsamo) ma anche in provincia di Trento, sono poi stati dirottati dalla Lombardia verso la Calabria e tombati in una cava del Lametino", riferisce la DIA, segnalando, quindi, ancora una volta, casi di inquinamenti pericolosi e sempre nell'area di Lamezia.
Alla luce di quanto riportato dai rilevamenti Arpacal sull'area industriale, di quanto ricostruito dagli investigatori della DIA e dalle Procure competenti sul contesto di Lamezia e dintorni, appare più che mai evidente - date tutte le possibili fonti d'inquinamento, alcune ancora da localizzare - la necessità di studi più attenti per capire fino a che punto quest'area centrale della Calabria sia stata compromessa.
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