Trent'anni dalla caduta del muro di Berlino e poi?

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Franco Cimino
  10 novembre 2019 01:16

di FRANCO CIMINO

Sono le ventuno e venticinque, di oggi, nove novembre. Ho atteso che si facesse quest’ora per scriverne. Ho atteso, cioè, come nella gran parte della mia scrittura, che l’emozione mi salisse alla testa, per spingere un ragionamento, anche semplice come questo, oltre i confini della razionalità. A quest’ora dello stesso mese di trent’anni fa accadeva nel mondo un fatto eccezionale. Sorprendente anche per coloro che lo hanno evocato, sognato, cercato, lungamente cercato. A colpi di martello e picconi, è stato aperta una breccia nel muro più famoso del pianeta, quello che sul finire del millenovecentosessantuno i comunisti tedeschi fecero costruire nel cuore di Berlino, nuovamente tornata alla ribalta, questa volta, come emblema della divisione in due del mondo e dell’Europa, e quale teatro di quella estenuante sospensione sugli equilibri militari chiamata “ guerra fredda”. Un muro dentro la stessa Città, nella capitale della stessa nazione, a dividere in due tronconi una storia, una cultura, un popolo, una stessa famiglia. Tante sono state infatti le famiglie frantumate da un’ideologia che, con il falso ideale dell’eguaglianza assoluta tra le mani e la promessa della giustizia, ha costruito un sistema totalitario e repressivo di qualsiasi libertà e, poi, più violentemente oppressivo di qualsiasi anelito a raggiungerla. Fratelli divisi, figli strappati dalle braccia delle madri, amori distrutti, storie personali fatte a mille pezzi, questa l’aspetto più doloroso di una tragedia umana incalcolabile.

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Per circa trent’anni, persone legate da affetto e sangue, da eguale sensibilità e cultura, dal giorno di quel muro non si poteremo più vedere. Non insisto su questo dramma perché ancora rabbia e dolore mi prendono in modo per nulla mitigato dal sentirmi fortunato per essere nato in un anno felice e in un paese libero. La notte più breve della storia dell’umanità, iniziò nel mezzo della sera del nove novembre millenovecentottontanove e finì all’alba del giorno successivo, quando decina di migliaia di tedeschi di Berlino Est varcarono quell’orribile confine e raggiungessero l’altra metà del “ mondo”, la Berlino libera, democratica, moderna evoluta e ricca. I militari del regime, per anni di guardia a quel muro, rimasero a guardare, passivi e inoffensivi, quei giovani che distrussero il muro di cemento e pietre e aprirono il cielo di aria fresca e sogni antichi. La ricordo bene quella sera, eccome se la ricordo! Un lungo notiziario e telegiornale senza orario, ci tenne incollati per tutta la notte davanti al televisore ancora a tre canali ma a colori. Sottolineo che il televisore era a colori, perché potemmo tutti vedere il colore dei giacconi e dei maglioni e dei cappelli e delle barbe e delle guance e, soprattutto, degli occhi di tutta quella gente. Potemmo vedere di che luce fossero quegli occhi e di che colore le lacrime che vi scendevano.

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Io lo ricordo bene quest’ultimo. Era “grigioceleste”, che si irradiò nel buio e la notte accese, come quella luce forte dei lampioni che avrebbero visto da lì a poco. Faceva freddo quella sera e pioveva, poi il freddo rimase e la pioggia cessò. L’autunno freddo che si preparava al gelido inverno, divenne improvvisamente primavera. Noi tutti in Europa la sentimmo. L’aria era cambiata, il cielo celeste con il sole a riscaldarlo di idee universali. Idee belle, chiare, intramontabili e forti. I ragazzi di Berlino Est, gli intellettuali e gli operai, gli artisti e i campioni umani di quella mezza Città imprigionata in un passato cavernoso, volevano solo liberarsi delle più strette catene, sentire il vento e piovere polvere di stelle su ciascuno di loro. E, invece, hanno fatto la rivoluzione. Volevano solo incontrare i loro concittadini e familiari e, invece, hanno fatto incontrare gli uomini del pianeta dentro una sola famiglia, quella umana. Volevano distruggere la propria separatezza e, invece, hanno abbattuto idealmente ogni divisione nel mondo. Volevano unire le due metà urbane e, invece, hanno costrutto l’idea di una nuova unità. Insomma (ancora mi tremano i polsi, mi batte forte il cuore) quei ragazzi di ogni età si sono battuti per tutti noi, quelli dell’altra parte. È noi che hanno liberato, prima che loro stessi. Io lo sentivo questo è ne ero felice.

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Si realizzava finalmente il sogno più bello di due generazioni speciali, in Italia specialmente. Quello nato nella Resistenza e quello scaturito dal sessantotto. I ragazzi che fummo colti dalla gioia della caduta del muro, guardammo i nostri padri che uscirono con grandi ideali dalla seconda guerra mondiale e dalle rovine del nazi-fascismo. Senza parlarci, davanti a quelle immagini berlinesi, ci demmo idealmente quella mano che ci negammo, tra le incomprensioni e l’incomunicabilità, per lunghissimo tempo. Nascondemmo le nostre lacrime nelle tasche dei pantaloni e ci promettemmo che mai avremmo consentito che l’Europa nuovamente si dividesse, che una qualsiasi guerra venisse tollerata, che in qualsiasi posto la libertà venisse conculcata, che la povertà venisse più consentita per alcun essere umano, che qualsiasi lembo di terra venisse negata a chi la cercasse, che il lavoro e la casa non venissero garantiti a tutti. Per dirla in due sole parole, sentivamo che gli ideali di libertà, eguaglianza, giustizia, potessero finalmente trovare posto in quell’ordine sociale che abbiamo chiamato democrazia. Sentivamo, con tutto il corpo in ebollizione, che la Pace finalmente potesse essere il riposante punto d’approdo di tutti quegli ideali che nelle varie stagioni abbiamo tenuto, come culture e generazioni, separati. A quarant’anni dalla caduta del muro, finiti i festeggiamenti e la retorica intorno ad essa, occorre domandarsi cosa è davvero rimasto di quella notte d’autunno, quali ideali sono stati compiutamente realizzati. Di più, quanti muri sono stati abbattuti, quanti popoli sono stati affratellati, quante famiglie riconciliate, quanti porti e quante case e quante terre abbiamo concesso a chi ne abbia avuto bisogno. Domandarci ancora, quanti popoli sono stati messi in condizione di liberarsi. Dall’oppressore, dal totalitarismo, dalla dittatura, dalla miseria, dall’arretratezza. E dalla violenza, del potere e delle persone. E, infine, quante guerre sono state cancellate, evitate, sospese.

Quest’ultima domanda meglio si accompagnerebbe alle due seguenti: cos’è oggi la guerra? e chi la combatte e contro chi? Il capitalismo, oggi sempre più manifesto attraverso la cosiddetta globalizzazione, è davvero la sana vittoria contro il comunismo, il bene che si sia affermato sul male? Io, queste domande me le sono fatte e trovo che il mondo stia subendo il più feroce tradimento di quegli ideali. Particolarmente, l’Europa che ha lasciato che nel suo seno venissero costruiti altri muri, mentre ha tenuto gli occhi chiusi sui mille fili spinati sorti in ogni angolo del mondo. La Pace, il più grande di quegli ideali, è continuamente bombardata non solo da tante guerre di diversa fattura e mutevole forma, ma dall’ondata sempre più alta di odio e spirito di vendetta, che si estendono ormai in gran parte della società, dei paesi e delle comunità. Sì, io me lo ricordo bene quel nove novembre di quarant’anni fa. Non era questo il mondo che sognavo lo celebrasse. Spero di invecchiare lungo per poterlo vedere ritornare. Intanto, conserverò un po’ delle mie forze nella speranza di essere tra quanti vorranno abbattere i muri che si troveranno davanti al cammino della giustizia e della libertà.

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