Università, il prof Bilotti: “Una studiosa di Catanzaro sulle orme della libertà inclusiva”
27 marzo 2023 16:30di DOMENICO BILOTTI*
Ho toccato con mano la curiosità che ancora oggi Hermann Heller (1891-1933) suscita ad esempio nell'Europa Orientale, in particolar modo i suoi scritti sul fascismo. Del quale Heller fu, sì, precoce oppositore, ma al quale il filosofo non attribuiva un immaginario politico in grado di creare istituzioni stabili: su questo, forse, si sbagliava. Lucidissimo a metterne in luce gli aspetti estemporanei, non credeva a quelli reconditi. Nell'Est schiacciato tra le macerie di imperi dissolti e revival di antichi nazionalismi etnico-politici, un teorico antiautoritario è fucina di stimoli, è speranza di correggere con la libertà il volto di democrazie a partecipazione limitata.
Hermann Heller, come tutti i grandi Autori che passano attraverso cicli e periodi di scoperta e riscoperte, ci si offre perciò come i prontuari in cui cerchiamo domande scomode e schierate più che risposte docili e già confezionate.
Non può che far piacere che torni a occuparsene, per i tipi di Mucchi (Modena, 2023), la giovane studiosa catanzarese Claudia Atzeni, col suo recente "Liberalismo autoritario. La crisi dell'Unione Europea a partire dalle riflessioni di Hermann Heller".
Innanzitutto, il prisma dell'analisi ci convince ed è coraggioso. La fortuna di Heller è legata ad altre tematiche, come ricostruisce l'Autrice. Ad esempio, nella filosofia della storia, perché il marxista Heller era tuttavia scettico sul materialismo, ritenendolo insufficiente a spiegare e dimostrare ogni cosa. O nella critica ai poli economici multinazionali (quelli che travolgono il proletariato, e oggi universalmente le opinioni pubbliche, dei singoli Stati).
Dimostrando di conoscerne la griglia teorica fondamentale e i dati giuridici di base, la Atzeni collauda il pensiero di Heller su una delle più incompiute costruzioni del diritto odierno: l'Unione Europea. E la Atzeni dichiaratamente del diritto dell'Unione parla e tratta (vagliando anche alcuni macroscopici cedimenti emersi nei Trattati e nelle prassi di Commissione e Consiglio), non dell'idea di integrazione europea. Questa concepita tra i confinati del nazifascismo che cercavano uno spazio di lotta: dove mai collocarsi quando il potere autoritario esaspera lo Stato nazione e al contempo trascina il mondo alla guerra pensando di creare nuovi imperi?
Diversa cosa è stata l'Unione. Ha affermato prima la supremazia del proprio diritto, diventando la bandiera di discipline più inclusive dei singoli Stati, ma poi questo processo di miglioramento tendenziale si è spento. Ha originato una burocrazia distante, una governance dirigista, nonché la crescente ritrosia degli Stati tutti ad agire collettivamente e a rendere operante il diritto unitario.
Attenzione però su un punto: quando riflette sulla categoria di "liberalismo autoritario", la Atzeni non tratta (o non soltanto) di circostanze storiche. Ovvero, l'opportunismo col quale, in Italia e in Germania, grossa parte delle élite nei regni liberali ottocenteschi accettò senza colpo ferire il cambio di bandiera, in nome dell'ordine, della sicurezza e della produzione.
L'analisi della studiosa catanzarese, se possibile, è ancora più sottile: è comprendere se il paradigma del governo liberale contenga in sé, e in che termini e a quali condizioni, già i semi di istituzioni che all'occorrenza seguono nell'autoritarismo e nella soppressione di libertà. E come si impedisce allora a questa gramigna di contaminare il campo, a questo cancro di mangiare i tessuti?
Lo stesso esercizio di grammatica critica potremmo fare sull'Europa odierna: è una deviazione il suo volto omologante, la sua stringente attitudine alla compatibilità finanziaria? O essa è la conseguenza diretta di un deficit di elaborazione giuridica già visibile al tempo dell'unificazione monetaria poi e doganale prima?
Siamo molto grati a questo libro di Claudia Atzeni, per tre motivi.
Ci ricorda, e con gli strumenti dell'analisi del diritto, che il silenzioso 11 settembre della coesione europea si è consumato nella crisi economica del 2007/2008, che ha riscritto la comunicazione politica e la cartografia pratica dei diritti.
Ci riporta alla voce di Heller, traducendola all'oggi e non alterandola per quanto era stato ieri.
Ci parla di Europa da fare (e ve ne è tanta, tantissima), non di Stati da chiudere.
*Docente dell’Umg di Catanzaro