Video di violenza sessuale su Twitter, il docente Domenico Bilotti: "Una storia sbagliata"

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images Video di violenza sessuale su Twitter, il docente Domenico Bilotti: "Una storia sbagliata"
Domenico Bilotti
  26 agosto 2022 16:33

di DOMENICO BILOTTI*

"Si fa più forte nell'aria uno strisciante puzzo di necrofilia, eterna mimesi e nemesi del vecchio spettacolo della morte: quello della gogna e della ghigliottina. Oggi, semmai, in un mondo che consente solo all'ostentazione di elargire i sentimenti (il viaggio, il lavoro, l'amore, la tavola, lo sdegno), quella necrofilia ha un che di freudiano: spiamo l'altro perché ci manca non essere visibili quanto lui. Abbiamo bisogno della sua luce riflessa perché si senta meglio il nostro microfono. 

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Non so darmi altra spiegazione a cosa spinga un politico di peso a mettere su Twitter il video di una violenza sessuale. Non è denuncia, né informazione: è campagna elettorale. La denuncia la fai se documenti le tecniche di manipolazione e violenza, l'informazione è l'esatto contrario di un post via l'altro: è seguire un procedimento, una vittima, un recupero. Con l'attenzione del gesto, non col rumore delle parole d'ordine. 

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Uno stesso senso di necrofilia lo ho avvertito nella vicenda di Alessandra Matteuzzi, la donna bolognese a quanto si apprende uccisa da un giovane ex compagno a suon di botte. Dai giornali più seriosi agli influencer più seguiti, dalla stampa truce da mattinale di questura ai servizi televisivi, sono stati saccheggiati gli account pubblici della donna e le sue foto gettate qua e là. 

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La prima motivazione è che noi siamo Alessandra Matteuzzi: in senso ahinoi fenomenologico, non empatico. Signora sopra i cinquanta, forme scattanti magari aiutate dai trattamenti, balli, costumi, linguacce, vita, didascalie pese anche per azioni quotidiane. È la vittima che possiamo essere tutti. Lei, a leggere resoconti sulle sue ultime traversie, anche piacevolmente attenta a ridimostrare a se stessa e agli altri di non essersi spenta appresso agli schiaffi, a un impiccio a lavoro, a una convivenza finita ma irrisolta. Alessandra Matteuzzi diventava un volto, un fermo immagine, da girare sullo schermo perché perfettamente dentro la vita dei suoi spettatori. La banalità del male, ancora una volta: guarda come sei, possono ucciderti. 

La seconda motivazione mi sembra debba essere ricercata nei contorni della storia specifica in sé, troppo tristemente singolare nei suoi tratti luttuosi (come tutte le morti violente) e troppo tristemente comune se anche solo si tentasse un profiling criminologico della fattispecie. Una storia sentimentale burrascosa, la condotta esteriormente apprezzabile della vittima elevata a motivo della lite domestica (te la sei cercata), la violenza sistemica come placebo di una endemica insicurezza relazionale. Anche qui, si è visto il vasto campionario di fasi ed episodi che sa bene chi ci è passato o chi su quei temi prova a lavorare e a studiare. L'iter di contrasti sedati o scongiurati da vicini, i familiari distanti, le denunce che non hanno sortito effetti dirimenti: quelli, cioè, non certo di sbattere ad Alcatraz vita natural durante il persecutore, il compagno molesto di turno, quasi fosse un mostro gotico; quelli, semmai, assai più giovevoli, di ripristinare libertà nella vita di una persona offesa o picchiata o abusata. 

Ultimamente a un convegno di amici penalisti ho sentito il loro impegno e la loro accorata vicinanza ai temi della violenza di genere. La ho apprezzata parecchio, anche se la loro prospettazione mi è sembrata da un lato immediatamente troppo generale (il riequilibrio di poteri tra accusa e difesa nel sistema processuale italiano: sacrosanto, ma è un'altra cosa, un altro capitolo) e dall'altro meno calata e attenta nella ricomposizione delle fratture sociali. Sovente, bestialmente inguaribili, come e peggio di certe fratture ossee che a vita ci fanno sentire il tempo che cambia e l'articolazione che tira. 

Sono un sostenitore della giustizia riparativa, con talmente tante prudenze, anche squisitamente metodologiche, da potermene sentire forse tra i convinti assertori. L'incontro tra reo e persona offesa come fisioterapia morale per riabilitarsi proprio da quelle fratture. Ed è paradossalmente questa stessa importanza che mi fa ritenere aliena alla dignità ogni proposta di universalizzazione, che sia ipocrita indeterminata o assolutamente sincera, della giustizia riparativa. In alcuni casi quell'incontro fa male a entrambe le parti, traumatizza ancora di più l'offeso ed è a volte impattante anche sui processi personali di chi aveva commesso il reato. Persino aizzato, se convinto a ripeterlo e a ripeterli; confuso se immesso in un cammino di rielaborazione e/o pentimento. Strumenti utili su carta, ma da maneggiare al massimo grado di accortezza sul campo, e non come appuntamento al bar tra parti private ma in un massiccio tessuto intercellulare di cura, dedizione, autonomia, sostegno. 

Bisognerebbe individuare, senza riciclarsi a rabdomanti, le spie di comportamenti che possono fare esplodere la propria nocività. Non certo per diventare supporters della giustizia predittiva, che è la sorella ignobile di quella riparativa: questa prefigura, a volte incoraggiantemente e altre meno, un incontro tutto da costruire; quella usa gli indici, gli indizi, le occorrenze giurisprudenziali, come le lettere in una equazione. 

Interessa provare a disinnescare la violenza prima del suo compimento proprio per evitare di portarla a maggior danno. Se ci sono episodi di abusi contro i minori, ad esempio, è abbastanza evidente non possa esserci per loro serena convivenza in quel contesto. Se ci sono reiterate minacce telefoniche di lesioni fisiche, ciò non dimostra ancora affatto che le lesioni siano state inferte ma non incoraggia a restare inerti. E molti esempi degli ultimi anni ci dicono che il morbo dell'omicidio che matura in contesti coniugali o post-coniugali ha dietro di sé più raramente il raptus singolo e scentrato e più frequentemente una via crucis di prequel.

A stringere, la verità è una, così cristallina da diventare brutale. Potrà esserci la parte civile più equa, assennata e determinata; l'avvocato più attento e cooperativo; l'inquirente più valido a fare emergere la notizia di reato e il giudice migliore. Senza un lavoro di formazione, condivisione, protezione della persona nell'esercizio delle sue libertà, di insorgenza culturale alle finzioni di un mondo che nevrotizza la relazione finanche occasionale in desiderio di dominio... Leggeremo tante e troppe storie così sbagliate da sembrarci inderogabile sfondo e scenario dei giorni".

*Docente dell’Umg

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