"Voglio cogliere l’occasione della visita del ministro Valditara per mettere in fila alcuni punti potenzialmente critici della nuova riforma degli istituti tecnici e professionali, nella speranza che Lei, a cui tutti riconoscono intelligenza e grande conoscenza del mondo scolastico, possa sollecitare il Ministro ad una riflessione, ancor più necessaria alle nostre latitudini, in cui il tessuto industriale e sociale non permettono errori".
A scriverlo in una lettera indirizzata alla vicepresidente regionale Princi, è il docente e coordinatore della commissione ingegneri-docenti dell'Ordine degli ingegneri di Catanzaro, Giuseppe Procopio.
"Nonostante la pubblicazione del decreto del 7 dicembre ed il passaggio in commissione al Senato, mi sento di dire che tale riforma è ancora in fase di definizione, mancando ancora i decreti attuativi e, conseguentemente, le definizioni dei parametri e dei quadri orari; pertanto ritengo ci siano ancora margini per intervenire e risolvere le potenziali criticità.
Il principale rischio, a mio avviso, è quello di un appiattimento dell’offerta degli istituti tecnici su quella dei professionali. I numeri delle iscrizioni ci spingono già ad una prima analisi: ad oggi un alunno su 3 sceglie l’istruzione tecnica, solo il 12% quella professionale. Pare evidente che andando a plasmare ciò che funziona (i tecnici) sulla forma di ciò che non funziona affatto (i professionali) non si possono certo ottenere buoni risultati. L’errore principale della precedente riforma fu proprio quello di appiattire i professionali sui tecnici, relegando la Qualifica ai soli IeFP, ed oggi ne paghiamo le - amare - conseguenze. Vogliamo davvero fare lo stesso errore a parti invertite? Disconoscere le specificità di entrambe le tipologie di istruzione?
Quel che davvero merita una totale riorganizzazione è proprio l’istruzione professionale, privata del suo significato con l’abolizione della qualifica, svuotata di contenuti con l’introduzione degli attuali indirizzi e, dal punto di vista delle famiglie (qui in particolare), divenuta non più utile al suo scopo originario: preparare ad un “mestiere”.
Scopo che non è mai stato il principale degli istituti tecnici. Il difficile reperimento di manodopera che le imprese lamentano (64,5% degli operai specializzati, secondo Unioncamere) non può essere affrontato “professionalizzando i tecnici”, ma rafforzando proprio quella istruzione professionale da troppo tempo bistrattata, in modo da renderla nuovamente interessante per gli alunni e le famiglie.
La mission degli istituti tecnici è sempre stata, appunto, quella di formare tecnici, professionisti (geometri, periti, ragionieri), e di preparare agli studi universitari in campi, ça va sans dire, tecnico-scientifici. I numeri - nuovamente - ci dicono che circa il 40% dei diplomati tecnici prosegue gli studi (una percentuale maggiore qui, a Catanzaro). “Professionalizzare” i tecnici - allora - porterebbe questi alunni a migrare, in buona parte, verso l’istruzione liceale scientifica, lasciando un enorme buco di competenze in mezzo, quelle - appunto - tecniche, quelle dei periti e dei geometri, di professionalità che hanno contribuito a costruire il nostro paese e che corriamo il rischio di perdere proprio nel momento in cui la competenza tecnica diventa sempre più necessaria. Parliamo tanto di discipline STEM ma poi vogliamo sacrificarle per mandare i ragazzi dei tecnici a fare le 210 ore di alternanza scuola lavoro-PCTO previste dal curriculum professionale (e a quanto pare destinate ad aumentare)?
Sono certo che Lei lo sappia, Assessore, ma mi chiedo quanti al di fuori di Lei sappiano che in un istituto tecnico tecnologico si fanno, complessivamente, 198 ore di Fisica ed altrettante di Chimica, in un professionale 132 di Fisica e zero di Chimica (nei tecnici economici si scende a 66 per entrambi gli insegnamenti). Per dare una misura, se ne fanno 165 di Religione, 330 di Scienze motorie e 495 di Inglese.
Sia chiaro, non grido allo scandalo, probabilmente va bene così. Quello che non va bene, però, è l’ipotesi di ridurre ulteriormente le ore delle discipline scientifiche nei tecnici, privandoli di quella proiezione globale che li caratterizza da sempre. Già oggi negli istituti professionali le materie scientifiche sono trattate in modo “integrato”: in pratica un ingegnere o un matematico (docenti di Fisica) possono insegnare Chimica, materia di cui probabilmente avranno sostenuto un solo esame all’università. E viceversa. Proseguendo in questo assurdo percorso di “integrazione” delle scienze di base, abbiamo ingegneri meccanici che insegnano Biologia e biologi che insegnano l’elettromagnetismo. È questo il mondo delle STEM? Quello dell’assoluto azzeramento delle competenze? E vogliamo portare questo melting pot anche nei tecnici? Nella punta di diamante dell’istruzione STEM?
È fondamentale, a mio avviso, che i tecnici mantengano la loro identità, già premiata dall’utenza, e che si lavori ad una profonda riforma dei professionali, che li renda davvero in grado di intercettare le richieste dei tessuti produttivi, non svilendo le competenze di base, ma integrandole con il mondo del lavoro.
Proprio per questo, ovviamente, non critico l’impianto della riforma per ciò che riguarda l’integrazione ed il fare rete tra istituti professionali, IeFP ed ITS Academy, anzi, lo ritengo un ottimo punto di partenza per quel nuovo mondo dell’istruzione professionale.
Semplicemente ritengo che tutto ciò debba tenere fuori i tecnici, proprio per la loro natura “intermedia” tra istruzione professionale e liceale. Ferma restando, ovviamente, la possibilità per i diplomati tecnici di accedere agli ITS.
Sono certo che Lei, Assessore, saprà farsi tramite col Ministro e col MIM in genere, affinché non si commetta l’errore di varare una riforma che abbia in mente solo il tessuto industriale del nord Italia e che finisca col sostituire l’addestramento all’istruzione anche qui, in Calabria, dove la scuola rappresenta da sempre il principale strumento di emancipazione e sviluppo".
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