“Oggi il mondo perde non solo un leader religioso, ma un simbolo di umanità. È morto il Papa che aveva scelto la via più difficile: quella della povertà, della semplicità, della pace. Per chiunque, credente o laico come me, la sua figura rappresentava qualcosa che trascendeva le mura della Chiesa e i confini della fede: un richiamo universale alla dignità, alla giustizia, alla fratellanza.
In un’epoca dominata dall’arroganza del potere, dalla logica del profitto e dalle guerre senza fine, quest’uomo aveva osato sognare un’altra possibilità. Aveva chiesto una Chiesa povera per i poveri, non come slogan, ma come scelta radicale, come atto di rottura con le opulenze, le ipocrisie, i compromessi. La sua era una voce che, pur parlando da uno dei troni più antichi del mondo, sembrava alzarsi da terra, dal dolore, dalla fame, dalla speranza di chi non ha nulla.
Il Papa che se ne va oggi aveva compreso che non basta predicare la pace, bisogna costruirla con gesti concreti, con mani sporche di terra e di fatica. Non bastano le parole, servono ponti. Non bastano le benedizioni, servono scelte scomode. E lui le ha fatte, pagando spesso il prezzo dell’incomprensione, anche all’interno della sua stessa casa.
La sua morte lascia un vuoto profondo, non solo tra i fedeli, ma in chiunque vedeva in lui una delle poche figure capaci di parlare al cuore del nostro tempo, senza orpelli, senza veli. Con una verità semplice e disarmante: il potere serve solo se si china a servire; la fede, come la vita stessa, ha senso solo se si spende per gli altri.
Oggi non celebriamo la fine di un regno. Celebriamo la vita di un uomo che ha creduto, fino all’ultimo respiro, che la bontà può ancora cambiare il mondo.
Che la sua eredità non venga dimenticata. Che il suo sogno di una Chiesa spoglia, e di un’umanità riconciliata, non venga sepolto con lui.
Perché, credenti o no, abbiamo tutti bisogno di chi ci ricorda che esiste ancora una strada diversa da quella del cinismo e della rassegnazione”.
Lo scrive in una nota Teresa Mengani.
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