Allotta (PNFD): "L'anomalia del Codice di Procedura Penale riapre il dibattito sui ruoli di PM e Polizia Giudiziaria"

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images Allotta (PNFD): "L'anomalia del Codice di Procedura Penale riapre il dibattito sui ruoli di PM e Polizia Giudiziaria"


  06 dicembre 2025 10:30

di ETTORE ALLOTTA*

Un'analisi critica interna al sistema giudiziario italiano riporta l'attenzione su uno dei nodi più controversi del diritto processuale penale: il rapporto, spesso conflittuale, tra Pubblico Ministero e Polizia Giudiziaria. Al centro della polemica c'è l'attuale Codice di Procedura Penale (in vigore dal 1989), accusato di aver svuotato l'autonomia degli investigatori a favore di una centralizzazione del potere direttivo nelle mani dei magistrati inquirenti.

La tesi proposta è netta: l'indagine non è un atto giuridico da gestire in ufficio, ma un'attività pragmatica che richiede presenza sul territorio, conoscenze tattiche e dimestichezza con la strada, competenze che, per loro natura, apparterrebbero esclusivamente alle forze dell'ordine.

La scomparsa dell'autonomia investigativa

Secondo questa visione, prima della riforma del 1989, la Polizia Giudiziaria godeva di un autonomo margine di manovra maggiore. Il nuovo codice avrebbe trasformato gli agenti in meri esecutori di ordini e direttive impartite dal Pubblico Ministero, creando un'evidente "anomalia".

"Un magistrato non può gestire delle indagini", si legge nell'analisi, che sottolinea l'assenza fisica del PM sul campo. "Avete mai visto un magistrato fare un pedinamento, uscire per strada e seguire un mafioso o un presunto ladro di biciclette? Io mai". L'errore di fondo, dunque, risiederebbe nella struttura stessa del codice, che affida la direzione delle operazioni a chi non ha la competenza pratica.

Intercettazioni: strumento principe o ausilio?

La critica si estende alle tecniche investigative e, in particolare, all'uso massiccio delle intercettazioni. Per l'investigatore "di strada", le intercettazioni dovrebbero essere solo un ausilio all'indagine, da utilizzare solo in presenza di quasi certezza dei reati, dopo aver raccolto indizi sul campo tramite osservazione e pedinamento.

La prassi attuale, invece, avrebbe invertito la prospettiva: si intercetta, si arresta e si mette alla gogna mediatica senza riscontri oggettivi solidi, portando a scarcerazioni e a un uso inefficiente delle risorse umane (personale "levato alla strada" per gestire le intercettazioni).

La richiesta di riforma

L'esito di questa situazione, secondo l'analisi, è una Polizia Giudiziaria che opera con timore, priva di iniziativa autonoma per paura di intralci da parte della stessa magistratura.

La conclusione è un appello chiaro: "C’è bisogno di cambiare il Codice di Procedura Penale e dare la direzione delle indagini alla Polizia Giudiziaria". La lotta alla criminalità, si chiosa, non si vince solo nei tribunali o sui giornali, ma nell'azione quotidiana, negli appostamenti e nelle decisioni coraggiose sul terreno.

Il dibattito resta aperto, evidenziando la necessità di bilanciare le garanzie costituzionali del modello accusatorio con l'efficacia pratica dell'azione investigativa sul territorio.

Segretario Generale Provinciale del sindacato di polizia PNFD 


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