AMA Calabria, Giuseppe Cederna in scena a Catanzaro e Lamezia con “Otello”: l’intervista

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images AMA Calabria, Giuseppe Cederna in scena a Catanzaro e Lamezia con “Otello”: l’intervista

  06 marzo 2025 12:03

di CARLO MIGNOLLI

Venerdì 7 marzo al Teatro Comunale di Catanzaro e sabato 8 marzo al Teatro “Grandinetti” di Lamezia Terme, alle ore 21, Giuseppe Cederna interpreterà Iago nella riscrittura di Otello” firmata da Francesco Niccolini e diretta da Emanuele Gamba, nell’ambito della stagione teatrale di AMA Calabria. La produzione, realizzata da Arca Azzurra in collaborazione con il Festival Teatrale di Borgio Verezzi, il Ministero della Cultura, la Regione Toscana e il Comune di San Casciano in Val di Pesa, si ispira al cortometraggio di Pier Paolo Pasolini “Che cosa sono le nuvole?”, rielaborando il capolavoro shakespeariano in chiave metateatrale e ironica.

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Lo spettacolo vede in scena, accanto a Cederna, Giuliana Colzi (Doge, Emilia), Andrea Costagli (Cassio), Dimitri Frosali (Otello), Lucia Socci (Desdemona), Lorenzo Carmagnini (Roderigo), Riccardo Naldini (Brabanzio, Lodovico) ed Elisa Proietti (Bianca, Montano). I costumi sono di Susanna Fabbrini, le luci di Samuele Batistoni, mentre la direzione tecnica è affidata a Lorenzo Galletti.

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In questa versione, Iago si trasforma in un capocomico, un burattinaio che guida la compagnia di attori in un teatro vuoto, dove tutto - dall’ambientazione ai costumi - è ridotto all’essenziale. Il teatro dei pupi diventa la metafora di un mondo in cui i fili sono stati recisi e gli attori, privi di una guida divina, devono costruire da soli il proprio destino. Tra ironia, ritmo serrato e improvvisi squarci di tragedia, questa messa in scena di “Otello” spinge lo spettatore a riflettere su temi senza tempo come la gelosia, il potere della parola e la manipolazione delle emozioni.

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GIUSEPPE CEDERNA

Attore, scrittore e viaggiatore, Giuseppe Cederna è un artista poliedrico che ha attraversato cinema, teatro e televisione con grande versatilità. Il suo esordio cinematografico risale alla fine degli anni Settanta, ma la notorietà arriva nel 1986 con “Speriamo che sia femmina” di Mario Monicelli. Il grande successo giunge nel 1991 con “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores, vincitore del premio Oscar per il miglior film straniero, in cui interpreta il soldato Antonio Farina.

Nel corso della sua carriera ha lavorato con registi del calibro di Marco Bellocchio (“Il sogno della farfalla”), Francesca Archibugi (“Il grande cocomero”), Sergio Castellitto (“Libero Burro”), Pupi Avati (“Ma quando arrivano le ragazze?”) e Gianni Amelio (“Hammamet”), film per il quale ha ricevuto una candidatura al David di Donatello come miglior attore non protagonista nel 2021. In televisione ha preso parte a numerose serie di successo, tra cui “R.I.S. - Delitti imperfetti”, “Distretto di Polizia”, “I bastardi di Pizzofalcone” e “Un professore”.

Parallelamente al lavoro di attore, Cederna è un appassionato scrittore e viaggiatore. Ha pubblicato diversi libri, tra cui “Il grande viaggio”, “Piano americano” e “L’ultima India”, in cui racconta esperienze e riflessioni sui suoi percorsi in giro per il mondo.

A teatro ha portato in scena tanti spettacoli, spesso ispirati alla letteratura e alla poesia, tra cui “Le mille e una notte”, “La porta di un mondo” e “L’ultima estate dell’Europa”. Con “Otello”, Cederna affronta una delle figure più affascinanti e oscure del repertorio shakespeariano e offre un’interpretazione complessa e stratificata del perfido Iago, burattinaio delle emozioni e della tragedia.

L’INTERVISTA

Sarai in scena a Catanzaro e a Lamezia con “Otello”. Parlami di questo progetto, ma in particolare cosa rende speciale l’adattamento di Niccolini e la regia di Gamba per questa produzione e in che modo si differenzia dalla tradizione classica?

«La prima cosa che colpisce, anche me che sono il protagonista, è una vena ironica, quasi comica. Come si fa a trasformare un po’ più di un terzo di “
Otello” in uno spettacolo che ha il coraggio di far ridere la gente? Stiamo parlando della storia di due sposi del Seicento che partono per salvare Venezia e arrivano a Cipro… sono vicende lontanissime da noi. Niccolini, ispirandosi a “Che cosa sono le nuvole?” Di Pasolini, ha creato un personaggio di Iago che è anche un capocomico, un burattinaio, all’interno di un grande teatro completamente vuoto. E questa è già una delle cose interessanti dello spettacolo: sul palco ci sono solo vestiti, sedie, qualche oggetto rubato qua e là. In questo teatro, il burattinaio Iago prepara la scena canticchiando una canzone, finché non arrivano i personaggi. Già questo è un elemento un po’ pirandelliano, un po’ pasoliniano, qualcosa di strano. I personaggi che arrivano formano la compagnia teatrale che Iago, in veste di capocomico, sta aspettando per mettere finalmente in scena la commedia-tragedia di “Otello”. Si capisce subito che sono personaggi bizzarri: hanno i nomi dei protagonisti shakespeariani, ma sono la compagnia di oggi. La Venezia di cui parliamo è composta da una donna, un console e un’altra ragazza. Poi c’è Desdemona, che non è giovane, ma più grande. Otello non è nero, ma bianco. Quindi già si rompono certi schemi. Infatti, il capocomico dice con ironia a Desdemona: “Ne abbiamo avute di più giovani, ma anche di più vecchie… benvenuta!” E guardando Otello aggiunge: “Ne abbiamo avuti di più neri, ma anche questo va bene!”. Fin dall’inizio, dunque, c’è questa strana commistione tra teatro e ironia, con una comicità che sorprende il pubblico. La gente ride quasi senza accorgersene e si chiede: “Ma dove siamo finiti?”».

Come emerge la tragedia?

«Emerge piano piano. Iago è un personaggio misterioso, uno dei più affascinanti e oscuri di tutto il teatro. Cosa lo muove? Perché distrugge tutto ciò che ha intorno? Otello, Desdemona, Roderigo… Muoiono tutti per colpa sua, compreso lui stesso, perché alla fine scompare nel nulla. E qui lo spettacolo si fa drammatico: Otello uccide, e lì non si ride più. Si stringono i denti e si pensa a quanti femminicidi ancora esistano, a quanto la gelosia e la mente corrotta, soprattutto maschile, possano portare un uomo a convincersi di avere il diritto di picchiare o persino uccidere la propria donna. Lo spettacolo parte con la sorpresa di questo strano gruppo teatrale e si ride delle loro fragilità e debolezze. Ma poi arriva la tragedia e ci si commuove».

Hai accennato al lavoro di Emanuele Gamba. Cosa puoi dirci del suo approccio registico?

«Gamba è un regista con un tocco anche un po’ pop. Lo noterai nelle scelte musicali: ci sono brani classici, come Verdi e Arvo Pärt, ma anche pezzi sorprendenti. Per esempio, quando Iago scopre il famoso fazzoletto - quello che scatenerà la tragedia - improvvisamente inizia a ballare con esso. Quindi Iago diventa anche un ballerino per un attimo. Questo ti fa capire quanto lo spettacolo sia imprevedibile. Il gruppo di attori lavora insieme da quasi trent’anni e questo si vede: sono come dei pupi che arrivano in teatro e si muovono sotto la direzione del capocomico Iago, che conduce il gioco dall’inizio alla fine. Anche per me è una sfida: mantenere rigore, precisione, una presenza fisica costante. Sono sempre in movimento, molto misurato ma tagliente, come un coltello. C’è anche un intervallo tra il primo e il secondo atto, congegnato da Niccolini in modo quasi pirandelliano: i personaggi diventano attori, si riposano, si cambiano i costumi e riflettono sulla storia. Si interrogano: “Perché succedono queste cose?” E noi con loro. È un momento leggero ma profondo, che porta il pubblico a riflettere su temi importanti».

Parlando proprio di Iago, hai già detto molte cose, ma come ti sei avvicinato al personaggio? Quali sfumature hai voluto mettere in risalto nella tua interpretazione?

«Il mio Iago è ispirato a Pasolini solo in parte, il mio è molto più inquietante. Per prepararlo, ho studiato anche Orson Welles, che si è interrogato molto su questo personaggio. Interpretare un cattivo così raffinato e manipolatore è una sfida. Iago è capace di trasformare inezie in eventi tragici, di costruire una rete di menzogne che diventa realtà. Fisicamente, per me è una prova: non ho l’aspetto tipico del cattivo. Nei film che ho fatto, spesso ho interpretato personaggi simpatici, umani. Qui, invece, c’è una grande disumanità travestita da umanità. Ed è questo che rende Iago così affascinante e perturbante».

Cosa ti affascina di più nel lavorare su un classico come “Otello” rispetto a progetti più contemporanei?

«Il fatto che questi personaggi siano vivi da centinaia di anni. Sono stati messi in scena in mille modi diversi e continuano a funzionare. La messa in scena di Niccolini è provocatoria: prendere “Otello” e far ridere sembra un’eresia. Eppure questi personaggi sono più forti di qualsiasi adattamento. Il tempo passa, ma loro restano, emozionano, turbano, ci interrogano su chi siamo, cosa vogliamo fare della nostra vita, dei nostri affetti, delle nostre passioni».

Molti attori sostengono che il teatro dovrebbe essere insegnato a scuola come materia obbligatoria. Cosa ne pensi?

«Sono d’accordo. Il teatro, se fatto bene, ci aiuta a capire chi siamo. È un’esperienza collettiva: il pubblico, in silenzio, ascolta una storia e si riconosce in essa. In un’epoca di velocità e superficialità, il teatro ci costringe a fermarci, a riflettere con calma. Questo è il suo potere».

Per concludere, c’è un ruolo che non hai ancora interpretato e che ti piacerebbe portare in scena?

«Ce ne sarebbero tanti! Ma la cosa più bella di questo lavoro è la sorpresa. Non ho mai saputo cosa avrei fatto dopo due o tre mesi… e qualcosa è sempre successo. Se non era teatro o cinema, era un viaggio. E nei viaggi ho trovato storie da raccontare. Trasformare incontri e esperienze in teatro o letteratura è quello che amo di più. Finché avrò questa capacità, sarò felice».

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