di CARLO MIGNOLLI
L’opera teatrale scritta da Edoardo Erba dal titolo Pirandello Pulp andrà in scena venerdì 28 marzo al Teatro Comunale di Catanzaro e sabato 29 marzo al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme, entrambi gli spettacoli con inizio alle ore 21. L’evento rientra nella stagione teatrale di AMA Calabria e porta sul palco due grandi attori: Massimo Dapporto e Fabio Troiano, diretti dalla regia di Gioele Dix.
Prodotto dal Teatro Franco Parenti, Pirandello Pulp si presenta come una delle più interessanti novità della stagione teatrale italiana. Con un’originale commistione tra commedia e thriller psicologico, lo spettacolo gioca con il ribaltamento dei ruoli, portando il pubblico in un vortice di colpi di scena.
La trama ruota attorno a una prova teatrale de Il giuoco delle parti di Luigi Pirandello. Maurizio, il regista, si ritrova con un tecnico luci improvvisato, Carmine, che non solo ignora il testo ma ha anche un’inaspettata visione dello spettacolo, dettata da una sessualità vissuta in modo pericoloso. Da un iniziale scontro tra i due, nasce un’idea di regia rivoluzionaria e pulp, che trasforma l’opera in un intreccio ambientato in uno squallido parcheggio di periferia, dove gli equilibri si rovesciano e le certezze si sgretolano.
Fabio Troiano, volto noto del cinema e della televisione italiana, ha raccontato ai nostri microfoni la genesi dello spettacolo, il suo rapporto con il teatro, con il pubblico e tanto altro.
L’INTERVISTA
Sarai in scena a Catanzaro e Lamezia con lo spettacolo Pirandello Pulp. Ci racconti la genesi di questa progetto, dal titolo molto interessante?
«Pirandello Pulp nasce da un testo scritto da Edoardo Erba, un drammaturgo contemporaneo molto noto e apprezzato. Il titolo originale dell’opera era “Maurizio IV”, ma Gioele Dix, che è il regista, insieme a Edoardo Erba ha deciso di cambiarlo per renderlo più immediato e rappresentativo della storia. Da qui è nato Pirandello Pulp. L’idea prende spunto da una delle opere di Pirandello, “Il gioco delle parti”. La trama ruota attorno a un regista che sta mettendo in scena proprio “Il gioco delle parti” e aspetta l’arrivo del nuovo tecnico delle luci, l’elettricista. Massimo Dapporto interpreta il regista, mentre io sono il tecnico delle luci. Ma, come accade spesso in Pirandello, nulla è come sembra: i ruoli si invertono, ci sono continui colpi di scena e cambiamenti all’interno della storia».
Il tuo personaggio, Carmine, parte come un semplice tecnico delle luci ma finisce per ribaltare tutto, persino il concetto stesso di regia. Come hai lavorato su questo ruolo?
«L’approccio che ho avuto con questo personaggio è lo stesso che adotto per qualsiasi testo, sia teatrale che cinematografico o televisivo. Ovviamente è fondamentale seguire la linea del regista e rispettare il lavoro dell’autore, ma bisogna anche metterci qualcosa di proprio. In questo caso, abbiamo lavorato molto sulla leggerezza e sulla comicità del personaggio, perché la chiave comune dello spettacolo è proprio questa».
Gioele Dix, oltre a essere regista, è anche un grande attore. Crede che questo abbia influenzato il suo modo di dirigervi?
«Assolutamente sì. Quando un attore lavora con un regista che è anche attore, il lavoro diventa più semplice. Il regista-attore conosce bene sia le dinamiche che le esigenze di chi sta sul palco. Gioele, poi, è un attore straordinario, quindi sa esattamente cosa dirti, come dirtelo e in che modo guidarti. Se c’è qualcosa che vuole farti capire, te la mostra direttamente, senza limitarsi a suggerimenti generici come “falla un po’ più così” o “dovresti calcare meno la mano”. Questo rende tutto molto più chiaro ed efficace».
Lo spettacolo gioca molto sulle inversioni di ruolo e sulle dinamiche di potere. Credi che questi temi abbiano un’attualità più ampia?
«Sicuramente si. Viviamo in un’epoca in cui nulla è davvero ciò che sembra. Pensiamo ai social, all’apparenza: tutti vogliono mostrarsi diversi da ciò che sono, usando filtri e costruendo un’immagine che spesso non corrisponde alla realtà. Poi, quando ci si incontra dal vivo, ci si rende conto delle discrepanze. Nel testo c’è una battuta, pronunciata da Massimo Dapporto, che trovo particolarmente significativa: fa un paragone tra la maschera e il volto. La maschera è ciò che gli altri credono che tu sia o vogliono che tu sia; il volto, invece, è ciò che sei veramente, anche se a volte nemmeno tu lo sai, perché ti sei costruito così tante maschere che hai perso di vista la tua vera identità. Trovo che questa riflessione sia estremamente attuale».
Hai lavorato in teatro, cinema e televisione. Quale di questi ambiti senti più vicino?
«Non ho una preferenza assoluta, dipende dal progetto. Ma l’emozione del teatro è unica, perché tutto accade nel momento stesso in cui lo vivi, sia per chi recita sia per il pubblico che guarda. Anche se uno spettacolo viene replicato mille volte, non sarà mai identico: cambia l’umore dell’attore, il pubblico, lo spazio scenico, la reazione degli spettatori. Questo rende il teatro magico. A teatro segui un percorso emotivo dall’inizio alla fine, mentre nel cinema e in televisione le scene vengono girate in ordine sparso. Ti capita di dover dichiarare amore in una scena e, subito dopo, girare quella in cui il tuo migliore amico muore. È completamente diverso. Dico sempre che il teatro è un grande gioco di finzione: il pubblico sa di stare assistendo a qualcosa di finto, ma se lo spettacolo funziona, a un certo punto dimentica la finzione e crede in ciò che vede. È lo stesso meccanismo del gioco dei bambini, quando trasformano un pezzo di legno in una spada e, per loro, quella è davvero una spada. Questa è la magia del teatro».
A parere di tanti attori, il teatro è un’arte che andrebbe trasmessa sin da piccoli anche nelle scuole. Sei daccordo con questa affermazione? Hai notato una presenza di giovani nel pubblico del vostro spettacolo?
«Sì, ci sono giovani a teatro, anche se si dice spesso che il pubblico teatrale sia composto per lo più da persone adulte. E in parte è vero. Sono d’accordissimo con l’affermazione che il teatro dovrebbe essere insegnato a scuola. L’arte va insegnata, e il teatro, in particolare, è un valore aggiunto dal punto di vista formativo. Insegna a essere altro da sé, a mettersi nei panni di un altro. E questa è una lezione fondamentale anche nella vita quotidiana: solo imparando a essere “altro da sé” si capiscono le differenze e si arriva a un vero senso di uguaglianza».
Lo spettacolo è partito a marzo e ora arriva in Calabria. Non è la prima volta che ti esibisci in questa regione. Che rapporto ha con il pubblico calabrese? Noti differenze con il pubblico di altre regioni italiane?
«Il pubblico, in generale, è abbastanza omogeneo, ma sicuramente quello del Sud è più caloroso e partecipe. A volte capita che il pubblico anticipi le battute dello spettacolo: magari c’è una frase che il personaggio ripete più volte e, dopo un paio di volte, qualcuno tra il pubblico la dice prima di me. Questo non mi disturba, anzi, mi fa piacere, perché significa che il pubblico è dentro la storia e sta giocando con noi. Quello che mi dà fastidio è il chiacchiericcio, ma se il pubblico partecipa in questo modo vuol dire che è coinvolto. E questa è una bellissima sensazione».
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736