di EMANUELE CANNISTRÀ
L'iniziativa del deputato Nicola Fratoianni di denunciare la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Corte Penale Internazionale per presunta complicità nel “genocidio” a Gaza sembra più una manovra ideologica che un vero e proprio atto giuridico. In una democrazia, è assolutamente legittimo criticare le scelte di politica estera del governo, ma trasformare ogni dissenso politico in un'accusa penale internazionale rischia di sminuire sia il significato della giustizia che la credibilità delle istituzioni democratiche.
La CPI ha un mandato chiaro: perseguire crimini gravissimi come genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Usare questo strumento come un'arma politica contro un avversario interno non è solo sproporzionato, ma anche pericoloso. Le denunce alla Corte non dovrebbero mai essere fatte a cuor leggero, soprattutto quando non ci sono prove concrete di una partecipazione diretta o consapevole dell'Italia in presunti crimini. Fratoianni accusa il Presidente Meloni di complicità per aver mantenuto buoni rapporti con Israele o per non aver condannato con sufficiente fermezza le azioni del governo Netanyahu. Ma da quando l'ambiguità diplomatica è diventata un reato internazionale?
In democrazia, l'opposizione è fondamentale. Tuttavia, c'è una linea netta tra la critica legittima e l'uso della giustizia come strumento di propaganda.L’On. Fratoianni sembra oltrepassare quel confine, seguendo una certa retorica che cerca a tutti i costi di criminalizzare chi non condivide la propria visione ideologica del conflitto israelo-palestinese. Denunciare il premier alla CPI non solo alza inutilmente i toni, ma polarizza ulteriormente un dibattito che avrebbe invece bisogno di equilibrio, competenza e senso delle proporzioni.
Le accuse rivolte al Presidente Meloni non colpiscono solo la sua persona, ma l'intero governo italiano e, indirettamente, l'immagine dell'Italia nel mondo.
È questo il risultato che Fratoianni spera di ottenere? Far sembrare il nostro Paese complice di crimini internazionali, basandosi su interpretazioni politicizzate della realtà geopolitica, non aiuta né la pace né la causa palestinese. Serve solo a alimentare una narrazione di parte e a danneggiare la reputazione di uno Stato democratico, che agisce nel rispetto del diritto internazionale e dei propri alleati. Se si desidera davvero difendere il popolo palestinese, non si può seguire la strada di attacchi giudiziari infondati contro i governi europei.
L’Italia ha la possibilità e il dovere di svolgere un ruolo nella diplomazia, nel dialogo e nella mediazione. Tuttavia, azioni come quelle dell’On.Fratoianni rischiano di compromettere ogni possibilità di intervento credibile. Più che un atto di giustizia, la denuncia appare come una bandiera ideologica sventolata per scopi interni. E, come spesso accade in questi casi, a pagarne il prezzo è la verità.
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