di MARCO VALLONE
Il libro di Papa Francesco, intitolato “Sei unica”, come base di partenza per una riflessione più profonda, variegata ed ampiamente sviscerata, dai tanti relatori presenti, sul tema della violenza sulle donne.
E' stato questo il fulcro di un pomeriggio socialmente impegnato che, nella giornata di ieri, ha avuto come teatro il centro sociale “Il giardino delle emozioni” del quartiere Corvo di Catanzaro. A partecipare al dibattito vi è stato innanzitutto Maurizio Gemelli, organizzatore dell'evento e presidente del Centro Sociale Corvo, seguito dalla compagnia di: Emilio Verrengia, presidente International Police Association, Comitato locale Catanzaro – Lamezia Terme; Nunzio Belcaro, assessore alle politiche sociali e alla pubblica istruzione del Comune di Catanzaro; Don Biagio Amato; Massimo Martelli, direttore comunità minorile ministeriale di Catanzaro; Anna Abbenante, commissario capo polizia di Stato- Referente I.P.A.; Francesca Lavecchia, segretaria provinciale COISP – sindacato di polizia; Sonia Libico, giornalista ed autrice del libro “A un passo da voi”. L'incontro si è avvalso della moderazione di Norma Aleni Caroleo, svoltasi in diretta radiofonica con la collaborazione di Radio Ciak.
“Ho avuto modo di essere già in questo luogo in un incontro propedeutico a questa giornata di lunedì 25 Novembre – ha affermato l'assessore Nunzio Belcaro -, quando un gruppo di lettura si era incontrato per discutere del libro di Papa Francesco. La cultura, se la intendiamo nel senso più ampio del termine, non solo penso che serva, ma credo che sia l'unico strumento che abbiamo a disposizione. E penso a cultura in termini di costruzione di una pedagogia di comportamenti: una cultura della non violenza, dell'ascolto, del mettersi nei panni delle donne e delle vittime. Mi spiego meglio anche in ordine pratico: io sono un uomo che appartiene a un mondo di riferimento progressista, libertario, e che ha costruito la sua cultura in ambienti politici di sinistra. Ho riferimenti letterari ben chiari, eppure, nei miei comportamenti, l'imprinting della società che ti vuole maschio in un certo modo agisce, anche in maniera inconsapevole. Cambiare la cultura vuol dire mettersi in discussione nei comportamenti, e vi assicuro che ci sono comportamenti quotidiani dove sbagliamo. Se una giornata come questa ha assunto una forza così ampia è perché le donne, a un certo punto, hanno deciso che non ne potevano più. E hanno preso in mano – ha proseguito Belcaro – con tutta la forza possibile i loro destini: per le loro sorelle, per le loro figlie, per il futuro che verrà. Perché c'era bisogno di una nuova ondata di femminismo in questo Paese, come c'era stata in passato per altre cose. Ma non basta: non basta perché è un problema in cui le donne sono vittime. E quindi, se le donne sono vittime, questo carico se lo devono prendere i carnefici. E i carnefici sono gli uomini, non le donne”.
Successivamente è stato fatto notare, nel corso della discussione, che le donne vittime di femminicidio in Italia si attestano intorno al centinaio, sia nel 2023 che nel 2024, e che in luogo di ciò non si possa quindi dire che tutti gli uomini italiani debbano considerarsi perciò autori di femminicidi. “E' vero, ci saranno 30 milioni di uomini in Italia – ha aggiunto l'assessore -, e in un centinaio hanno commesso i femminicidi. E' una percentuale infinitesimale. Però serve lavorare sulla cultura. E' ovvio che i comportamenti a cui mi riferivo non sono comportamenti, reati, o attivi di violenza. Ma sono tutto quel sottaciuto di cultura patriarcale che non va bene, non va assolutamente bene. Se l'amico di turno ti mette all'interno di una chat, dove si oggettivizza e si sessualizza il corpo della donna, allora da uomo non devi sorridere. Devi uscire. Anche se in quel momento non vieni visto come gli altri, bisogna insegnare ai propri figli che comportamenti del genere non sono corretti”.
Emilio Verrengia, presidente International Police Association – Comitato locale Catanzaro – Lamezia Terme, ha commentato come scopo dell'associazione sia quella di fare rete e mettersi a disposizione “per un'educazione alla legalità, per fare rispettare le leggi. In questo caso tema di giornata è la tutela della donna, la giornata è particolare e ci ha visti impegnati su più iniziative. Questa di oggi nasce in un centro sociale periferico, e quindi c'è necessità di prossimità, di un'attenzione ancora più particolare. E noi ci spendiamo ancora di più perché non ci possono essere cittadini di serie A e cittadini di serie B. La nostra azione si diffonde in tutte le agenzie educative: a partire dalle scuole, che forse è il luogo dove si iniziano a consumare le violenze sulle donne. Anche tra gli stessi bambini magari si trasportano quello che vedono nelle famiglie, adottandolo nelle classi, tra compagne e compagni. Quindi anche agire con una cultura educativa, anche nella scuola primaria, è un aspetto importante. Oltre alle scuole agiamo anche nelle scuole superiori, nelle università, ma soprattutto nelle associazioni periferiche, nei centri sociali e nelle parrocchie, laddove c'è bisogno di supportare e addirittura, a volte, sostituire le istituzioni che purtroppo, per tanti motivi, non riescono ad essere sempre presenti”.
Anna Abbenante, commissario capo polizia di Stato- referente I.P.A., si è soffermata sull'evidenza per la quale “le donne che denunciano sono tante: i numeri sono aumentati in modo esponenziale. Però c'è un fatto: se la donna pensa di poter trovare giustizia in tribunale, la cosa è decisamente difficile. Come poliziotta mi sento invece di dire che la donna deve prevenire l'escalation delle violenze: mi spiego meglio, bisogna in ogni caso non attendere l'evento di una donna che viene scoraggiata, che subisce lesioni gravi o che muore. E' necessario trovare il coraggio di denunciare l'uomo anche all'inizio di maltrattamenti, che non sono solo lesioni: possono essere anche maltrattamenti economici. E quindi il privare la donna della propria indipendenza. Oppure maltrattamenti psicologici gravissimi: ci sono uomini che usano il mutismo selettivo, non so se ne avete mai sentito parlare. Si rifiutano di parlare per interi giorni: si buttano sul divano e aspettano non si capisce cosa. Queste sono tutte avvisaglie che dovrebbero portare la donna a trovare il coraggio di dire basta. Il questore ha uno strumento importantissimo: l'ammonimento. In cosa consiste? Adesso anche all'uomo che mette il piede alla porta per evitare alla donna di chiudere, all'uomo che sbatte con violenza sulla porta con i pugni, il questore può fare l'ammonimento. Cioè chiede all'uomo, che può anche rifiutarsi, di sottoporsi a trattamenti multidisciplinari, attraverso il ricorso a uno psicologo, a un criminologo, a un sociologo, in modo che l'uomo prenda consapevolezza del disvalore delle proprie azioni perché, tante volte, l'uomo è convinto di essere nel giusto. Mentre non è corretto trattare la donna come un inferiore, non è corretto privare la donna della possibilità di aprirsi un conto corrente bancario, non è corretto fare mutismo selettivo per giornate intere in casa”.
Massimo Martelli, direttore comunità minorile ministeriale di Catanzaro, si è spinto a dire che “nella giornata di oggi eliminerei la dicitura 'sulle donne'. Perché oggi sarebbe interessante parlare della violenza: è la violenza che non va bene. Un giudice minorile che purtroppo oggi non c'è più, il giudice Carlo Caruso, in un seminario sui minori aggressivi e prevaricatori disse che, nella radice etimologica della parola 'violenza', la parola 'vio', 'vis' è la forza. Noi allora oggi dobbiamo discutere della forza. Ma se ne discutiamo, dobbiamo anche capire cos'è questa forza. E allora ai ragazzi delle scuole l'altro giorno ho fatto un esempio: l'acqua è un elemento della natura con una forza talmente tale da poter uccidere tante persone. Stessa cosa il fuoco, altra forza della natura. E allora dov'è il problema di una forza? Se la violenza ha un connotato di forza è giusto che qualcuno ci insegni a contenere, e anche ad educare, questa forza. Tanti giovani oggi ignorano il bene, ignorano cosa significhi relazionarsi in una relazione di coppia, ignorano anche la loro corporeità. Tornando all'esempio dell'acqua, bisogna costruire degli argini, delle dighe, perché la forza dirompente dell'acqua non possa essere libera di distruggere. Non possiamo lamentarci dell'acqua se siamo incapaci di costruire degli argini per incanalare questa forza. La violenza c'è sempre stata, c'è e ci sarà sempre. Arriva un momento in cui le persone violente vanno fermate: per la società è facile dire 'chiudiamoli in carcere'. Ma poi, cari signori, in carcere ci siamo noi che dobbiamo gestire per 24 ore la vita di queste persone che non sono da sole, ma sono con altri ragazzi che hanno fatto violenza nei confronti dei genitori, nei confronti di un disabile, nei confronti di un'altra persona a causa di una rapina, o ancora violenza sessuale”.
“Che si fa con queste persone – si è chiesto retoricamente Martelli -? Lì entra in gioco il lavoro penitenziario: un lavoro che mina alle basi. Mi piacerebbe raccontarvi le storie di ragazzi che entrano da noi perché hanno maltrattato la propria mamma, ed escono, dopo un periodo di trattamento e di reinserimento, abbracciati alla loro mamma e al loro padre. Dopo un lungo percorso rieducativo e di giustizia riparativa. L'autore del reato incontra la vittima del reato, e nell'incontro si comprende qual è la sofferenza che si è provocata nei confronti dell'altra persona. La soluzione alle forme di violenza passa attraverso la relazionalità: o ci si mette in relazione con la parte intima, per andare a scavare il perché sono successe determinate cose, o la convinzione di chiuderli in una cella e di buttare la chiave non ci porterà da nessuna parte”.
Infine Sonia Libico, giornalista ed autrice del libro “A un passo da voi” edito da Giannini Editore, ha voluto porre un intervento focalizzato sul mondo dei bambini. In particolare sulla fascia 0 – 6 anni. “Quando parliamo di violenza, parliamo di adolescenti, andiamo nelle scuole, ma non parliamo mai dei bambini. Io sono fortemente convinta del fatto che le coscienze civiche debbano essere formate sin dalla tenera età. Quindi io nel mio asilo racconto favole, perché lo strumento per arrivare ai bambini è la favola. Dunque bisogna arrivare a loro attraverso quei personaggi che fanno parte del loro mondo, attraverso i colori che dipingono il loro mondo. Vi racconto una cosa che mi è accaduta lo scorso anno: non ve lo dico come educatrice, ma ve lo racconto come mamma. Lo scorso anno, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, il ministro giustamente ha mandato una nota a tutte le scuole, invitando tutti gli operatori e gli educatori a parlare di femminicidio. Io lo facevo, e me ne sentivo orgogliosa, però ho pensato 'come faranno nelle scuole elementari' ? Mio figlio l'anno scorso frequentava la seconda elementare, ed è uscito da scuola turbatissimo perché in maniera del tutto cruda gli è stato raccontato questo. Di accoltellate, di sangue... E lui è uscito veramente provato. Ha avuto la fortuna di avere una madre che aveva gli strumenti per contenere questo, e l'abbiamo superata. Io vi dico, nella scuola elementare un bambino deve iniziare a leggere e scrivere. Non posso andare a parlargli della Divina Commedia, perché non avrebbe gli strumenti per comprenderlo. E nemmeno posso spiegare un'equazione di primo grado ad un bambino che non conosce le basi delle operazioni matematiche. Ed è la stessa cosa: io devo creare, con delle fasi – ha proseguito nel suo appassionato intervento Sonia Libico -, Io devo parlare sì al bambino, ma con un linguaggio vicino a lui”.
“Ma perché ce la prendiamo con questi adolescenti se siamo noi? Perché non ci mettiamo in discussione noi? La mia generazione, quella dei cinquantenni, dovrebbe mettersi in discussione: io lo faccio. Quando parliamo – ha domandato l'autrice del libro 'A un passo da voi' -, chi si abbassa a parlare con un bambino per guardarlo in faccia? Nessuno. Quando ho parlato con i miei figli io mi sono sempre abbassata perché non sono io che mi abbasso: in realtà mi sto elevando in quel momento. Perché io sto entrando in un mondo così delicato, così particolare, così colorato, che gli posso raccontare in chiaroscuro la violenza sulle donne. Ma lo devo fare col suo linguaggio”.
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