Catanzaro, Arturo Brachetti al Politeama con lo spettacolo “Solo”: l’intervista

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images Catanzaro, Arturo Brachetti al Politeama con lo spettacolo “Solo”: l’intervista

  15 marzo 2025 12:23

di CARLO MIGNOLLI

Il maestro del trasformismo Arturo Brachetti torna a incantare il pubblico con il suo straordinario one man show, Solo - The Legend of Quick-change, che approderà a Catanzaro il 26 marzo 2025 al Teatro Politeama alle ore 21:00. Dopo otto stagioni di successi ininterrotti nei teatri italiani ed europei, lo spettacolo continua a rinnovarsi.

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Definito un classico senza tempo, Solo è un viaggio attraverso l’arte del quick-change, con oltre 65 personaggi che prendono vita sul palco in un ritmo serrato e spettacolare. Un’esperienza che mescola reale e surreale, magia e realtà, coinvolgendo gli spettatori in un vortice di meraviglia e stupore. Brachetti, con il suo inimitabile talento, trasforma la scena in un universo parallelo, in cui ogni stanza della sua immaginaria casa racconta una storia, dando vita a sogni e ricordi con la sola forza della fantasia.

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Brachetti, leggenda vivente del quick-change, ha portato il trasformismo a livelli ineguagliabili, con esibizioni in tutto il mondo e record da Guinness dei primati per la rapidità delle sue trasformazioni. La sua carriera, iniziata a Parigi negli anni ’80, lo ha reso un’icona internazionale, capace di reinventare l’arte della metamorfosi e di incantare generazioni di spettatori.

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Proprio in occasione della sua attesissima tappa a Catanzaro, Brachetti si è raccontato ai nostri microfoni parlando dello spettacolo, del rapporto con il pubblico e degli artisti che hanno influenzato maggiormente la sua visione artistica.

L’INTERVISTA

Sarai in scena a Catanzaro con lo spettacolo “Solo - The Legend of Quick-change”. Come si è evoluto nel tempo questo show, considerando che siamo ormai all’ottava stagione? Quali sono le principali novità di questa edizione?

«Solo è uno spettacolo surreale, magico e ironico. È un one man show, anche se in scena siamo in due, perché con me c’è la mia ombra, interpretata da Kevin Michael Moore. Essendo io un Peter Pan 68enne, ho la mia ombra che mi vuole portare via! Lo spettacolo ha già girato l’Europa: solo l’anno scorso siamo stati un mese a Edimburgo e abbiamo fatto due mesi di repliche a Parigi, dove è stato rappresentato nella lingua originale. È un successo internazionale, tradotto in cinque lingue. Quella che vedrete a Catanzaro è la versione più upgrade, cioè quella che abbiamo affinato proprio a Edimburgo: ancora più ritmata, senza tempi morti. Dura 90 minuti, senza intervallo, ed è una vera e propria cavalcata. Alcuni spettatori, soprattutto quelli meno abituati a spettacoli così frenetici, mi dicono: “Mamma mia, c’è tantissima roba!”. Ogni anno aggiungo qualche novità, ma il pubblico spesso torna dopo tre o quattro anni e ha l’impressione che lo spettacolo sia cambiato completamente. In realtà, modifico solo alcuni dettagli, ma Solo è talmente ricco che è impossibile ricordarsi tutto!».

Tra i tanti personaggi che porti sul palco - più di 65 - ce n’è uno a cui sei particolarmente affezionato o che ami interpretare più degli altri?

«No, in realtà no. I personaggi durano talmente poco che non ho il tempo di affezionarmi a nessuno! Il più difficile da interpretare, però, è Arturo, cioè me stesso. È la cosa più complicata: raccontare di sé in modo autentico. Lo spettacolo si svolge attorno a una casa in miniatura che si apre come una casa delle bambole. Io ci entro con una webcam e proiettiamo le immagini sulle pareti, dando al pubblico la sensazione di immergersi in questo spazio metaforico. Ogni stanza rappresenta un aspetto della nostra personalità: il soggiorno, la stanza dei ricordi che è il solaio, la stanza dei bisogni che è il bagno, la stanza della musica dove mi trasformo in icone pop del XX e XXI secolo. È una casa che tutti noi abbiamo dentro di noi, con le sue paure, le cose belle e quelle brutte. Ma se c’è un momento dello spettacolo che amo particolarmente, è quello in cui volo. Volare per me è una sensazione unica. Certo, è anche pericoloso: sono caduto quattro volte dal macchinario che mi permette di librarmi in aria! Ma ogni volta che finisce il numero, mi dico: “Anche stavolta è andata!”. Volare è il massimo per uno come me, un Peter Pan imprigionato nel corpo di un uomo adulto. Sentire i piedi che si staccano da terra, raggiungere la balconata… È un’emozione che non mi stanca mai».

Non è la prima volta che ti esibisci in Calabria. Che rapporto hai con questa regione? E come reagisce il pubblico calabrese rispetto a quello di altre città?

«Il pubblico di tutto il mondo reagisce bene, perché Solo è uno spettacolo che riesce a coinvolgere chiunque. È quasi impossibile non rimanerne affascinati. La Calabria, però, mi è particolarmente vicina perché mio zio era calabrese. In realtà, a Torino negli anni ’50 e ’60 c’è stata una grande migrazione dal Sud, e così tanti torinesi hanno origini calabresi! Io stesso alle elementari avevo un compagno di banco calabrese, Luciano Mazzei, che rivedrò proprio quando sarò a Catanzaro. È curioso pensare che la Torino grigia della mia infanzia stesse vivendo un cambiamento così grande grazie all’arrivo di nuove culture e nuove storie».

Il trasformismo è un’arte antica ma poco praticata. Quali artisti hanno influenzato maggiormente la tua visione artistica?

«Il primo grande riferimento è stato senza dubbio Leopoldo Fregoli, il trasformista per eccellenza del secolo scorso. Quando avevo 15 anni leggevo i suoi libri e guardavo le sue foto, ma non avevo mai visto i suoi spettacoli. Ho potuto vedere le sue performance solo molto più tardi, attorno ai 40 anni. Non trovando i suoi trucchi, ho dovuto inventarmeli da solo! Nel 1979 sono partito per Parigi, e sono stato subito notato perché, dai tempi di Fregoli, nessuno aveva più portato in scena un vero spettacolo di trasformismo. A Parigi ho lavorato con Jean-Marie Rivière, un regista geniale e folle che fumava 60 sigarette al giorno e beveva un litro di whisky. Era un uomo di immenso talento e carisma, una sorta di padrone di un music hall, che sapeva coinvolgere il pubblico come pochi. Ho avuto la fortuna di lavorare anche con Ugo Tognazzi, che mi ha insegnato tantissimo sulla ricerca della naturalezza in scena. Poi ho collaborato con artisti di diverse nazionalità, come André Heller, poeta e regista austriaco, che mi ha trasmesso l’approccio evocativo del teatro tedesco. Grazie a lui ho sviluppato l’idea di personificare sentimenti ed emozioni in scena. Ad esempio, nel numero delle quattro stagioni, io divento le quattro stagioni, e questa è una tecnica teatrale molto tedesca. La mia formazione è un mix di influenze da tutto il mondo. Ho visto tantissimo teatro, continuo a vederlo e a studiarlo con passione, perché sono curioso e affamato di novità».

Dopo tanti successi e una carriera straordinaria, c’è ancora un sogno artistico che vorresti realizzare?

«In realtà, uno dei miei sogni si è realizzato di recente: recitare in una commedia musicale. Per due anni ho lavorato in un musical in Italia, e per me è stata una grande conquista, perché mi sono sempre considerato un pessimo cantante. Dopo il Covid, però, ho preso lezioni di canto e mi hanno detto: “Ma no, tu puoi cantare! Devi solo crederci!”. Quando mi hanno dato un microfono, sono rimasto sorpreso io stesso! Questo mi ha insegnato una cosa importante: non si smette mai di imparare. Scoprire a 66 o 67 anni che puoi fare qualcosa di nuovo è meraviglioso. E vale per tutti: si può imparare una lingua da pensionati, si può iniziare un’arte a qualsiasi età. L’età è solo un numero, conta quanti anni ci sentiamo dentro. Io mi sento ancora un Peter Pan, e questo mi dà la voglia di continuare a sperimentare e a stupirmi».

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