
di IACOPO PARISI
Non sempre il confine tra sogno e realtà si manifesta come una frattura netta. Talvolta è una soglia silenziosa, quasi invisibile, che si lascia attraversare solo se si è disposti a cambiare sguardo. È su questa soglia che si è costruito il nuovo incontro di Cura d’Arte, ospitato ieri al Museo del Rock di Catanzaro, in una serata capace di tenere insieme arti, narrazioni e visioni in un dialogo sorprendentemente armonico.

A introdurre il percorso, come di consueto, Elisa Chiriano, che ha invitato i presenti ad abitare la soglia, più che a definirla: uno spazio in cui l’arte diventa strumento di attraversamento, capace di ampliare la percezione del reale senza negarlo. Da questa premessa ha preso forma una serata corale, costruita sulla pluralità dei linguaggi e sulla sicurezza di chi, ciascuno dal proprio ambito, ha saputo restituire una visione coerente del tema.
l viaggio è iniziato dalle immagini, grazie all’intervento di Giovanni Audino, graphic designer e appassionato di graphic novel, che ha scelto René Magritte come punto di partenza. L’impero delle luci ha offerto l’occasione per riflettere su un paradosso visivo in cui luce e ombra convivono senza conflitto, generando una realtà apparentemente credibile ma profondamente enigmatica. Attorno a quest’opera, tante altre capaci di interrogare lo sguardo e di lasciare spazio a quel senso di mistero che accompagna ogni vera esperienza onirica.

Dalle immagini alla riflessione storica e concettuale sull’arte, con Antonella Pascuzzo, docente di Storia dell’Arte e curatrice, che ha portato l’attenzione su Michelangelo Pistoletto. Un artista che, pur non essendo surrealista, ha sempre lavorato sulla compresenza di realtà e visione, senza separarle ma facendole coesistere. Nei suoi lavori, il reale diventa superficie riflettente, spazio di relazione, luogo in cui il sogno non cancella il mondo ma lo riscrive.
La musica ha poi aperto uno dei passaggi più suggestivi della serata con Marco Calabrese, divulgatore di cultura ed esperto musicale, il cui intervento è stato accolto come un vero piacere d’ascolto. Calabrese ha scelto Il flauto magico di Mozart per raccontare quanto il confine tra sogno e realtà sia sottile. La figura di Tamino, che si risveglia in un mondo sconosciuto e si chiede se ciò che vive sia reale o fantastico, diventa emblema di un percorso iniziatico in cui prove, simboli e musica accompagnano la trasformazione.
La dimensione massonica dell’opera, ha spiegato Calabrese, va intesa come accesso a un’altra realtà, non come evasione ma come livello più profondo di conoscenza. Un mondo regolato da simboli, simile a quello del sogno, che non nega il reale ma lo amplia. Personaggi come Pamina, Papageno e Papagena incarnano diverse modalità di stare su quella soglia, mentre la musica stessa diventa strumento capace di modificare il mondo e renderlo più abitabile.

A raccogliere idealmente questo filo sonoro è stato Piergiorgio Caruso, direttore del Museo del Rock, che ha riportato il discorso sul terreno della musica contemporanea grazie ad una conoscenza universale sul tema. Con Light My Fire dei Doors, Caruso ha evocato un Jim Morrison costantemente sospeso tra visione e realtà, mentre White Rabbit dei Jefferson Airplane ha rilanciato l’idea di un attraversamento consapevole del reale, in cui il sogno diventa chiave di lettura e non fuga.
La poetica ha trovato spazio con Daniela Pietragalla, italianista e facilitatrice di medicina narrativa, che ha scelto La gioia di scrivere di Wisława Szymborska. Una poesia che riflette sul potere della scrittura di creare mondi, sospendere il tempo e rendere reale ciò che nasce dall’immaginazione, confermando la scrittura come uno dei luoghi privilegiati in cui sogno e realtà si incontrano.
Il tono si è poi fatto teatrale con Salvo Venuto, che ha omaggiato Stefano Benni attraverso Coincidenze, dimostrando come il surreale sia spesso il modo più efficace per raccontare il quotidiano e le sue contraddizioni.
A chiudere la serata, le riflessioni della giornalista Roberta Cricelli, che ha richiamato la tetralogia di John Fante e la figura di Arturo Bandini, personaggio emblematico di una scrittura sospesa tra ambizione e disincanto, sogno di affermazione e resistenza della realtà.
Dall'ultimo appuntamento del 2025 di Cura d'Arte è quindi emerso un incontro denso e armonico, in cui ogni intervento ha contribuito a costruire un mosaico culturale ampio e coerente. Tale format si conferma così come uno spazio di dialogo autentico, in cui linguaggi culturali differenti si incontrano in perfetta sintonia senza mai svorapporsi.
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