Catanzaro, rassegna "Performing": due performance tra corpi, oggetti e ombre

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Eva Fruci ed Elia Valeo durante la performance "Auto(e)motive"
  28 maggio 2025 19:26

di IACOPO PARISI

Prosegue con proposte audaci e sperimentali la rassegna Performing, promossa dall’Accademia di Belle Arti di Catanzaro e dedicata alle arti performative contemporanee. Due eventi in particolare hanno acceso l’attenzione del pubblico questa mattina: Auto(e)motive, performance a cura di Leonardo Panizza con Eva Fruci ed Elia Valeo, e Fear of the Dark, opera del collettivo milanese Cult of Magic con la performer Giada Vailati. Due linguaggi differenti, due spazi scenici distanti, ma un’unica tensione comune: esplorare le fragilità, le ossessioni del presente.

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Andato in scena nella suggestiva cornice di Villa Margherita, Auto(e)motive ha visto protagonisti i giovani performer Eva Fruci ed Elia Valeo attorno a un oggetto-simbolo del nostro tempo: un’automobile sgangherata, vissuta, quasi abbandonata. La performance si è sviluppata attraverso movimenti lenti e fluidi, in una relazione ambigua tra corpo umano e corpo macchina. Il loro linguaggio è fatto di gesti sinuosi, quasi intimi, e si intreccia con un tappeto sonoro che accompagna lo spettatore in un’atmosfera sospesa, ambigua.

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L’assenza di video e installazioni ha concentrato l’attenzione sulla fisicità della scena e sulla dimensione sonora, lasciando spazio a un’interpretazione più aperta e forse più autentica. E forse, proprio nel minimalismo dell’azione performativa, si genera una forma di straniamento che spinge alla riflessione post-spettacolo. Il tema dichiarato infatti è quello del cambiamento climatico, della sostenibilità e dell’affettività distorta verso gli oggetti del capitalismo.

Tutt’altro contesto – più intimo e spiazzante – per Fear of the Dark, ospitato nei locali dell’Accademia. La performance ha portato in scena una discesa nel buio interiore, ispirata al grimorio medievale “I 72 Spiriti della Chiave di Salomone”. Giada Vailati, unica performer in scena, si muove tra ombre e suoni elettronici distorti in una coreografia che alterna stasi e spasmi, evocazione e disfacimento, quasi come se fosse guidata da forze invisibili.

Il buio, come metafora e come condizione reale della performance, costringe lo spettatore a un’esperienza percettiva diversa, dove la vista non è più guida ma limite. Fear of the Dark non offre risposte, ma propone un’immersione: nel corpo, nel suono, nell’inconscio. Un’esperienza disorientante e potente, che resta addosso anche dopo la fine.

Il lavoro del collettivo Cult of Magic, fondato da Francesco Sacco, Samira Cogliandro e Giada Vailati, con la collaborazione di Luca Pasquino, si conferma come un’indagine coraggiosa sui margini dell’esperienza umana e performativa. Tra musica, danza e ricerca visiva, Fear of the Dark si propone come rito e come provocazione, spingendo lo spettatore a confrontarsi con le emozioni che normalmente reprime: il desiderio, la paura, la violenza latente, l’ansia dell’essere osservati o ignorati.

Se Auto(e)motive ci parla del rapporto con l’oggetto e con il mondo esterno, Fear of the Dark ci obbliga a guardare dentro noi stessi. In modi diversi, entrambe le performance hanno affrontato il nostro tempo con coraggio.

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