Chiesa e ’ndrangheta: fede, ritualità e responsabilità civile

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  10 ottobre 2025 12:25

di M. CLAUDIA CONIDI RIDOLA *

Il rapporto tra Chiesa e mafia nel Sud Italia evidenzia come la religione, in alcuni contesti, sia stata strumentalizzata per legittimare il potere criminale. La ’ndrangheta ha saputo infiltrarsi nei rituali religiosi, sfruttando simboli sacri, processioni e luoghi di culto come strumenti di consenso e controllo sociale.
Operazione “Jonny” e il caso don Scordio

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L’operazione Jonnydella DDA di Catanzaro  (2017) ha mostrato l’infiltrazione della cosca Arena nella gestione di strutture per migranti e di enti religiosi locali. Tra gli arrestati figurava il parroco don Edoardo Scordio, la cui condanna è stata annullata in Cassazione nel 2023. Questo episodio evidenzia quanto possano essere complesse le intersezioni tra responsabilità penale, morale e impatto sociale dei legami tra Chiesa e criminalità organizzata. La ritualità di affiliazione: santino, sangue e San Michele Arcangelo.

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I rituali di affiliazione alla ’ndrangheta, descritti dai pentiti Giacomo Lauro, Francesco Fonti e Mazza Tommaso, prevedono il consegnamento di un santino raffigurante San Michele Arcangelo, che viene bruciato mentre l’affiliato lascia cadere il proprio sangue sull’immagine, pronunciando un giuramento di fedeltà assoluta al clan. Questo rito unisce simboli religiosi e vincolo criminale, conferendo un’apparente sacralità all’organizzazione e rafforzandone il proselitismo.

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Il santuario della Madonna di Polsi, nell’Aspromonte, è stato a lungo luogo di riunioni e rituali della ’ndrangheta. I pozzi del santuario rappresentano punti simbolici per i rituali, consolidando i legami tra i clan. La processione annuale di Polsi e manifestazioni tradizionali come l’Affrontata di Vibo Valentia hanno spesso offerto copertura sociale ai boss, trasformando riti sacri in strumenti di legittimazione e intimidazione.

La Chiesa italiana ha compiuto passi significativi nel condannare le mafie e chiudere spazi alla complicità. È necessario distinguere nettamente la religione dal malaffare, esprimendo tale dissociazione pubblicamente nelle piazze, durante le processioni e nei riti solenni. Il credo religioso deve essere impavido di fronte al potere mafioso, senza ambiguità.

È fondamentale che giovani e parrocchie si schierino apertamente contro la mafia. I funerali delle vittime di conflitti mafiosi non possono essere occasioni di silenzio e paura: il sangue versato deve ricevere una risposta simbolica chiara e civile. Anche in chiesa, durante le cerimonie, occorre denunciare pubblicamente la violenza mafiosa, educando le nuove generazioni alla giustizia e alla responsabilità civile.
L'educazione scolastica contro la criminalità è un "must".

Per rafforzare la resistenza culturale e sociale alla criminalità organizzata, sarebbe opportuno introdurre nelle scuole una materia educativa dedicata al distacco da qualsiasi forma di associazionismo criminale. Questa disciplina potrebbe essere inserita anche nell’insegnamento della religione o in percorsi di educazione civica, per trasmettere ai giovani valori di legalità, etica e responsabilità sociale, insegnando a riconoscere e respingere la logica mafiosa fin dalla giovane età.

I rituali di affiliazione, i santini, l’invocazione di San Michele Arcangelo, Polsi, i pozzi e le processioni strumentalizzate rappresentano segnali concreti della commistione tra sacro e criminalità. La responsabilità morale ricade su tutti: Chiesa, parrocchie, scuole, giovani e cittadini. Solo attraverso coraggio, trasparenza, educazione e presenza pubblica la religione può riaffermare la sua vocazione autentica, distaccarsi dal malaffare e contribuire a costruire una società libera dal terrore mafioso.

*avvocato

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