di CLAUDIO MARIA CIACCI
In relazione al comunicato di Potere al Popolo Catanzaro circa le iniziative dedicate alla memoria di Sergio Ramelli, si ritiene opportuno ribadire alcuni elementi storici e giuridici fondamentali, nella massima chiarezza e rispetto della verità accertata dai tribunali.
Sergio Ramelli non è stato vittima di un giudizio politico o di una ricostruzione di parte, bensì di un vile omicidio per il quale la magistratura italiana — certamente non sospettabile di simpatie fasciste — ha condannato gli autori. Le sentenze hanno riconosciuto in maniera definitiva la responsabilità penale di coloro che, mossi da odio politico, aggredirono e uccisero un giovane diciottenne colpevole soltanto delle sue idee. Pertanto, parlare di "stravolgimento della storia" è, in questo caso, fuorviante: si tratta semmai di rispetto verso la memoria di un ragazzo assassinato in modo brutale e ingiustificabile.
Se si vuole ricostruire onestamente la storia nazionale, occorre avere il coraggio di affrontare nella loro complessità tutte le pagine tragiche, comprese quelle meno celebrate. Nel dopoguerra, l'Italia fu teatro di crimini efferati anche da parte di settori della Resistenza, come testimoniano fatti ampiamente documentati dai procedimenti giudiziari.
Nel cosiddetto "Triangolo della morte" — zona compresa tra Reggio Emilia, Modena e Bologna — si verificarono centinaia di omicidi sommari tra il 1945 e il 1947, con vittime spesso scelte per motivi politici o personali, molte delle quali innocenti o rei di reati d'opinione. L’eccidio della famiglia Govoni a Pieve di Cento, nella notte tra il 17 e 18 maggio 1945, in cui vennero barbaramente assassinati i fratelli Sante, Adolfo e Achille Govoni (giovani di idee liberali) da partigiani comunisti, rappresenta una delle pagine più buie di quella stagione.
Non a caso, per sanare e silenziare quella stagione di violenze, il Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti emanò nel 1946 un’amnistia che garantì l'impunità anche a numerosi responsabili di crimini gravissimi, molti dei quali legati alle formazioni partigiane comuniste. Questo provvedimento non fu soltanto un atto di pacificazione, ma anche una scelta politica per proteggere compagni di partito coinvolti in atti illeciti.
Allo stesso modo, nella storia repubblicana non si possono ignorare i crimini delle Brigate Rosse e di altre organizzazioni terroristiche di estrema sinistra che, dagli anni Settanta in poi, insanguinarono l’Italia con rapimenti, omicidi e attentati, causando centinaia di vittime tra magistrati, forze dell’ordine, politici, giornalisti e semplici cittadini.
In questo contesto, ricordare Sergio Ramelli, come ricordare le vittime delle Brigate Rosse, non significa equiparare ideologie, ma riaffermare il principio fondamentale che nessuna idea politica può mai giustificare la violenza.
La storia d’Italia merita rispetto, studio e verità, non narrazioni parziali o ideologicamente orientate. Il nostro impegno istituzionale resta quello di custodire la memoria nella sua interezza.
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736