di FRANCO CIMINO
I figli sono sempre bambini. E restano figli anche quando diventano padri e madri. Crescono divenendo loro e padri e madri. In particolare, quando i genitori vanno via. Specialmente i figli maschi. Le donne sono donne, somigliano alla madre già prima che nascano. O addirittura ancor prima, quando vengono pensate. Desiderate. I padri andati via, vecchi o giovani, poi ritornano. Nella mente dei figli maschi, maggiormente. Come un ricordo tenero. Una struggente nostalgia. A volte, anche rimpianto. Di non averli vissuti. Di non averli capiti con la scusa che non ci capivano. Ritornano con i mille gesti, che noi rivolgiamo ai nostri figli, accorgendoci, fermi nello stupore, che sono quelli di nostro padre a noi. Ci si rompe la parola in bocca, quando ripetiamo involontariamente le parole che ci hanno detto. Stupendoci, anche qui, che quelle, non da cultura raffinata se non da ignoranza piena, sono più forti e profonde delle nostre fresche di laurea e di professionalità alta. Sono educanti, perché contengono tutta la conoscenza del mondo, la storia degli esseri umani, i princìpi per riconoscere il Bene e il male, sempre antropologicamente presenti. Sempre uguali nelle uguali modalità di compierlo. E le regole pure. In quelle parole, ci sono anche le regole. Per vivere da persone perbene. Cittadini onesti e operosi. Da maestri in un continuo divenire nella formazione di altri maestri, dai figli che dai figli verranno. Ché la vita è maestra se trovi chi la interroga e la coglie. Ed è scuola se ci saranno maestri ad educare chi riceve già dalla nascita il destino del mondo. Ma non c’è un maestro perfetto se a rivestire quel ruolo è il padre, per natura essere imperfetto. In essi vive, oggi sempre più, quella contraddizione tra il sognare e il fare. Tra il progettare e il realizzare. Tra le forze del desiderio e quelle muscolari. Tra la spinta dei sogni e quella uguale e contraria della realtà.
Tutte necessarie a costruire, a fare, a realizzare. Per i figli. I nostri figli, come lo sono singolarmente tutti i figli degli altri. L’imperfezione dei padri è quella propria della figura maschile, che affida sempre al vecchio concetto di forza il “ controllo” della realtà in cui opera e vive. Egli ancora disegna il mondo come poi non gli viene. Tuttavia, per la fretta di fare e fare, di centralizzarsi e accentrare, non lo comprende. Grandezza e responsabilità in lui spesso non coincidono. Occhi difettosi e occhiali necessari, non sempre stanno sopra lo stesso naso. Sotto la stessa fronte. I padri-maestri, crescono i figli per un mondo desiderabile, che non c’è. Oggi non c’è. Un mondo bello, in cui tutto sia bello, le cose, i luoghi, le case, le persone. La Natura, incontaminata della sua Bellezza. Un mondo in cui alberghi l’Amore, che i padri hanno chiesto ai figli di coltivare. Praticare. Diffondere. Un mondo che non c’è, deprivato da tempo ormai non solo dei sogni. Ma anche della facoltà di sognare. C’era ieri il mondo bello, quando netta era la distinzione tra il Bene e il male. Di qua il nazifascismo, la dittatura,la dominazione dello straniero ariano, la guerra, con tutto il loro carico di rovine materiali e morali. Di morti, dolori, violenze e morti. Di là la Libertà. La Democrazia, il Progresso, con tutto il bagaglio di sicurezza e benessere, di modernità. E di ricchezza costruita con la libera creatività individuale e la forza unitaria collettiva. E distribuita secondo una democratica equa concezione del rapporto meriti- bisogni. Un mondo sognato quello. Da costruire con i sogni in mano come progetti d’ingegneria e di architettura. Come aratro e cazzuola, martello e scalpello, barche e reti. Questo mondo era nelle mani dei nostri figli e dei padri mai stanchi di allora. La Democrazia e la Pace. E l’Amore, che le sostanzia di sé.
L’Utopia che si realizza. E la Politica, tutta insieme, quale laboratorio, palestra, campo di battaglia, scuola, cuore, parole e polmoni. Strumento privilegiato per realizzare i sogni. Via sicura per le istituzioni, l’impalcatura insostituibile dello Stato democratico. Questo mondo ha visto la luce. E in questo mondo sono cresciute buone generazioni di padri, pur sempre imperfetti. Le cose non sono andate come sarebbero dovute, e il processo si è interroto sul più bello. Ma i padri nuovi, sempre imperfetti, hanno continuato a parlare ai figli del mondo bellissimo che avrebbero trovato uscendo di casa. Quei figli da loro, hanno incontrato il sessantotto della rivoluzione in Europa. In America, un po’ prima, quella dei fiori. Da mettere nei lunghi capelli. Sul vestito. Nelle parole. E anche nel cannone, come dice anche una bella canzone dei “ Giganti”. Quel nuovo mondo, si è fermato sui primi campi fioriti, poi incendiati e rinsecchiti dalle guerre. E, in Europa, sulla follia di chi pensava di cambiare il mondo con il terrorismo e un nuovo più folle tribunale del popolo. Tribunale di condanna preventiva e a morte dei colpevoli “ innocenti”. Quei padri delle ultime stagioni ci sono ancora. Hanno creato altri padri. E come quelli dei grandi ideali, delle magnifiche ricostruzioni, delle passioni democratiche e dei “ sentimenti nella Politica” o della Politica dei sentimenti e delle idee, con le finestre, però, chiuse alla realtà, hanno disegnato per i figli un mondo bellissimo. Quello dei padri lontani. Progresso, ricchezza, Democrazia e Libertà. Un mondo in pace popolato da uomini e donne in pace. Con sé stessi e gli altri. Un mondo senza odio e violenza. Di conciliazione, quale forza che si muove nelle relazioni. Conciliazione tra economia e politica, giustizia e società, tra persone e istituzioni.
Tra famiglia e scuola e agenzie formative tutte. Tra pubblico e privato. Conciliazione tra fedi diverse e tra religioni. Tra fede e laicità. Ragione e ragioni. Conciliazione tra l’Uomo e la Natura. Bello, questo! Davvero lo è. Ma questo mondo non c’è. Oggi, non esiste. Ve n’è, invece, uno molto diverso da quello sognato, insegnato, indicato dai padri. Miseria e povertà al posto della ricchezza. Diseguaglianze estreme invece che uguaglianza. Aggressività e violenza diffuse, in luogo della serenità e del rispetto. Autoritarismo strisciante al posto della Democrazia. Alterazione del principio della Libertà in sostituzione della Libertà. Tecnologia dominante la sfera individuale contro la creatività individuale. Intelligenza artificiale in sostituzione di quella umana. E guerra al posto della Pace. Guerre tante. Diffuse sul pianeta a macchia di leopardo. E nuova guerra mondiale, la più devastante. Quella della ricchezza di pochi contro la povertà. E la guerra economica. Quella dei prepotenti e dei ricchi, il dieci per cento della popolazione mondiale nei confronti del novanta per cento. E poi, egoismo. Tanto. E rottura radicale del principio di solidarietà. I padri che hanno cresciuto i figli per un mondo di pace, non si sono ancora accorti di mandarli in guerra. Una guerra brutta, che i giovani non vogliono. Ma che subiscono. Una guerra in cui i nostri figli arrivano disarmati. Di tutto. Essi non sono attrezzati per affrontarne né tante, né poche. Soffrono questa condizione di impotenza. Le agenzie e le strutture educative esterne non li aiutano a comprendere la realtà e a poterla gestire per la loro parte e responsabilità. Nè molto, né poco. Il tutto mentre Scuola e Famiglia vivono ancora una crisi lunghissima e profonda. Crisi di identità, di ruolo. Di funzioni. Crisi dell’autorità, di cui scuola e famiglia sono ampiamente costituite. I giovani vivono la solitudine e in solitudine. Entrano in quelle scatolette in cui troverebbero tutto, notizie e conoscenza, velocità superiore a quella del pensiero, comprese.
Vi entrano più per nascondersi che non per aprirsi agli altri. A forza di nascondersi non si ritrovano. A forza di conoscere non si conoscono. Si smarriscono insieme agli ideali e ai valori teoricamente appresi. Mancano modelli di riferimento positivi. Da seguire. Si è attenuata la linea di separazioni tra il Bene e il male. Tra violenza e non violenza. Tra istituzioni, casa di tutti, e l’uso personalistico e proprietario delle stesse. Si è offuscata anche la netta differenza tra ottimismo e pessimismo. Tra speranza e disperazione. Tra forza fisica e forza morale. Tra l’Io individuale e il Noi collettivo. Il noi dello stare insieme. Tra persona e persone. Tra questi e cameratismo. Tra gente e folla. I nostri ragazzi sono fragili di una fragilità tenera che, quasi a mo’ di bullistica offesa, viene scambiata per debolezza. Una debolezza vista come colpa. Padri deboli, per figli deboli. Padri, che hanno smesso di sognare per figli che non sognano. Chi non sogna, non lotta( il nostro motto lontano). Chi non lotta non spera. Chi non spera si rassegna. Chi si rassegna non vede. Chi non vede non parla. Chi non parla non grida. Chi non grida non si ribella. Chi non si ribella si ferma. Chi si ferma non fa un passo in avanti. Chi non lo fa non aspetta sera, ché il domani ha il giorno nuovo. La luce, che spaventa chi non la cerca. Dei cercatori di luce, invece, è la Bellezza. Sono soli i nostri ragazzi. Non parlano e non gli parliamo veramente, in quel nuovo “ amichettismo” che si propone come parità inappropriata. Li riempiamo di parole e di conversazioni di “ amichismo”, sotto l’egida di un “confidenzialismo”che ci appaga di un senso genitoriale autoassolutorio. In questo mondo adultizzato, i giovani hanno una responsabilità che faticano a sentire, essere figli. E nello stesso, di adulti “ infantilizzati, si sente più pesante quella di padre. C’è sempre tanta gente e tanto rumore, tanto” casino” intorno ai nostri ragazzi. Ma loro sono soli. Non c’è peggiore solitudine di quella di essere uno dei tanti, soli nella folla.
Questa solitudine allontana dalla realtà vera. Fa male. E ci si fa male. In taluni, i più sensibili, quelli che alla spiccata intelligenza uniscono un’oceanica sensibilità, procura una progressiva voglia di andare. Di cercare altrove, nell’Altrove, il mondo che avevano sognato. Volano o nuotano. Perché nel mare e tra le nuvole arrivano lentamente prima. Impegniamoci, allora, per cambiare questo mondo delle solitudini. Rivoluzioniamolo, restituendo ai nostri figli la capacità di sognare e il coraggio di sovvertire. Aiutiamoli a far divenire l’Utopia la forza inarrestabile che si compie. E quella che fa toccare il cielo e nuotare il mare, sognando ancora. E camminando con le proprie gambe in questo mondo. Felici loro di farlo. E felice il mondo di non perderne più uno, di figli. Ché regola ritorni dei figli che aspettino i loro padri invecchiati, per portarli per mano nel mondo che essi pure hanno desiderato. Disegnato. Progettato.
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