di FRANCO CIMINO
RedarFinalmente ci siamo o ci saremmo! Ci sarebbe l’accordo. O quasi. O forse. Gli organi di informazioni ne danno, trepidanti quanto la speranza, notizia. Oggi, si dice manchino, mancherebbero, solo poche ore. Le parti si stanno parlando. Chi a rappresentarle e dove oltre che in uno dei paesi arabi “ neutrali”già noti, non si sa di preciso. Le parole didascaliche sono quelle, le solite. Quelle consumate non solo dal loro uso smodato e insincero, ma dalla polvere di ferro e fango, di sangue e sputi, che le ha coperte in questi ultimi quindici mesi di guerra impari. Di guerra tra forze “ militari” sproporzionate. Di guerra più ingiusta della stessa guerra. “Tregua, cessate il fuoco, scambio tra un numero piccolo di ostaggi e un altro in proporzione di prigionieri”. A queste si aggiungono, “ aiuti umanitari consistenti( subito i sette camion di derrate alimentari e medicinali bloccati alle frontiere, quali?), il ritiro progressivo dell’esercito israeliano dalle profondità ed estensioni territoriali su tutti i quarantuno chilometri della Striscia di Gaza.” Si dice che sia stato, o stia per essere, sottoscritto un accordo complessivo, distribuito tra resistenze e diffidenze, in tre parti. Quindi, in tre fasi. Pertanto, in tre tempi diversi (Quali? Distanziati di quanto? Chi ne terrà il controllo?Quali le sanzioni per i ritardi o le furbizie?). Il mondo attende, in gran parte con distrazione. In altra, con un crescendo senso di diffidenza, se non di incredulità. E come dar torto a ciascuna di quelle parti? In esse, saltellando, a distanza sempre più stretta, rischio di trovarmi anch’io. Queste guerre, tante e sempre più vicine, anche a noi, con le devastanti immagini di rovine e lutti, quotidianamente trasmesse quasi in diretta, ci hanno stancato. E di una stanchezza da sfinimento. La povertà e l’insicurezza, sempre crescenti, delle nostre vite, ci ha ripiegati duramente in una sorta di egoismo misto a indifferenza. Questa parte del mondo non in guerra belligerata, si sente, però, in guerra diversa, già vittima di un nemico inattaccabile perché sconosciuto. Anonimo. O coperto da sembianze di necessità e giustizia. Spesso ha il volto delle istituzioni. Anche quelle, le nostre, democratiche. Le notizie, per me assai fragili, sul Medio Oriente e la cessazione delle ostilità di fuoco tra Israele e Hamas, si muovono, lente e zoppicanti, all’interno di una grande nuvola di indifferenza generale. La lesione della sensibilità della gente è l’altra vittima di queste assurde guerre. Non vi è da credere, infatti, a questa strana cosa che si presenta come una grande rappresentazione ipocrita del dramma umanitario tra i più pesanti della storia. Che tregua è quella in cui si tratterebbe da settimane mentre ogni notte, compresa quest’ultima, l’esercito israeliano bombarda ancora uccidendo civili. I numeri ufficiali, ma non reali, dicono stamattina, di settanta morti. Tutti bambini, donne e vecchi. L’altra notte sono stati dodici. Forse più. Esseri umani, non pupazzi. Bambini, non soldati. Donne, non feroci terroristi. Vecchi, non forzuti odiatori. Che sospensione degli attacchi è questa se non c’è più neppure un muretto da distruggere? E di vite umane assai poche, dopo le settantamila( e chi può darci il numero esatto?)di palestinesi trucidate? E di che tregua( “ umanitaria” addirittura)si tratta se tutto appare come la necessità di riprendere fiato, far riposare gli uomini mandati in guerra( gli israeliani) e di reclutarne e addestrarne altri tra i giovanissimi( Hamas)? E che accordo sarebbe mai quello in cui non si discute del tema più importante e originante, per opposti motivi, la cinquantennale feroce conflittualità tra Israele e palestinesi? È il tema della costituzione dello Stato Palestinese, questo. Uno Stato libero e autonomo, all’interno di un territorio che appartiene loro dall’eredità della storia. Un territorio ben definito e inattaccabile, sottoposto all’autorità di chi lo abita. E a quelle liberamente scelte dai palestinesi, popolo libero e riconosciuto quale ricco di dignità e onore. Il mio pensiero odierno va ben oltre l’impressione che si stia facendo in fretta di chiudere questa fase, per fare un doppio favore agli Stati Uniti, ancora oggi, come nel passato, protagonisti di tutto ciò che accade sul pianeta. Guerre e pacificazioni, innanzitutto. Due favori e il terzo conseguente. Il primo è a Joe Biden. Consentirgli di chiudere la sua presidenza debole e discussa nelle sue contraddizioni, con la risoluzione prospettata, è anche una forma di gratitudine da parte di Israele per tutto il sostegno economico, strategico e militare da lui offerto al governo di Tel Aviv. Il secondo, fare un piacere a Donald Trump, che vuole entrare alla Casa Bianca senza il fastidio mediorientale, e mantenendo fede a una sua promessa elettorale. Il terzo, quello conseguente, è l’aver completato il vero progetto Israele-americano, liberare il paese della stella di Davide dal nemico Hamas. Il loro più cattivo, che ha come primo punto del suo programma la cancellazione di Israele e degli israeliani e che porta, Hamas, va ricordato, la grande responsabilità di aver scatenato, per i suoi criminali e feroci attacchi terroristici del sette ottobre, la bestiale reazione di Netanyahu( accusato giustamente di genocidio e crimini di guerra)e dei suoi sodali, che andrebbero processati con lui. Israele, si è “meritata” l’amicizia americana per aver fatto il buon lavoro per conto degli Usa. E, cioè, abbattere, con i suoi interventi in Siria, in Libano, in Iran e in tutta l’area di quella vasta regione del Medio Oriente, gli ostacoli che si frapponevano alle rinnovate aspirazioni di egemonia della super potenza in quella parte strategicamente significativa per i nuovi equilibri mondiali. Equilibri, che si giovano delle difficoltà della Cina e della debolezza della Russia. La nascita di un nuovo impero è il problema cui tutti dovremmo porre la massima attenzione. Soprattutto, dal venti gennaio, con l’avvento sullo scenario mondiale di un leader autoritario, incolto, caratterialmente aggressivo, e dalle idee egemoniche disinvoltamente dichiarate. Che vanno dall’intenzione di annettere agli Usa la Groenlandia, aggiungendovi, quale cinquantunesimo stato, il Canada. Per non dire delle sue intenzioni sul golfo del Messico e l’intenzione di prendersi il mare di Panama. Donald Trump conferma la chiara e antica volontà di indebolire l’Europa. Inizia a farlo scegliendo, nel rapporto personale insolito tra capi di governo, Giorgia Meloni, interlocutore privilegiato, quasi esclusivo. La sceglie in un’ottica preoccupante. Questa, più forte Giorgia, più debole l’Italia. Il tutto mentre agisce, il capo statunitense, con Elon Musk per eliminare, con la potenza della tecnologia in mano all’uomo di Tesla, i leader inglesi, francesi e tedeschi, che si oppongono all’insano progetto. Senza soffermarci troppo sugli interessi economici che stanno dietro questa strategia, di travolgente forza economica e mediatica, rafforzo la mia opinione espressa nell’immediato post voto americano. L’asse Trump-Musk rappresenta l’affermazione planetaria della nuova Destra internazionale, unitaria e unificante, che governerà, cambiandolo radicalmente, il mondo per lunghi decenni. Questa destra, finora divisa, aveva bisogno di un leader forte e potente. Ne sono arrivati due. Anzi, uno più imponente ancora, nato dalla fusione di due personalità apparentemente diverse, il presidente Usa e l’uomo più ricco del pianeta. Più ricco in assoluto oggi e nella storia del capitalismo. Mai registrato nella storia delle società un concentramento così forte del potere politico e di quello economico. Nello stesso spazio di pochi metri quadri, pure fisicamente inteso. Come quello istituitosi nell’ufficio presidenziale alla Casa Bianca, con l’assegnazione, o pretesa, stanza di lavoro “ politico” di Musk a pochi metri da quella ovale in cui siede il presidente. Se non bastasse questo per accendere la sensibilità democratica di quel che di essa resta nel mondo, in Europa, in Italia, non so più cos’altro si debba temere.
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