Cimino: "Nell’America violenta ieri è morta la gioventù"

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Franco Cimino
  13 settembre 2025 10:53

di FRANCO CIMINO 

 
Nell’America violenta, nella terra inaridita dei suoi frutti migliori — quelli del progresso e della libertà — nella nazione che fin dalla sua nascita ha superato il concetto tradizionale di “nazione” come ambito istituzionale e territoriale chiuso, e che ha fatto dell’unione tra Stati diversi e autonomi, e di popoli diversi al loro interno, una realtà plurale aperta agli altri popoli che si nutrono di valori universali, in quest’America è morta la gioventù.
 
È morta anche la bellezza che essa rappresenta, in quanto incarnazione della naturale fecondazione dei valori più alti della convivenza civile: libertà, democrazia, pace, vita. Valori oggi calpestati.
 
L’altro ieri, due giovani imbevuti di ideologie violente — ideologie fondate sull’intolleranza e sulla negazione dell’altrui pensiero e diritto alla vita — si sono dati la morte, nello stesso momento.
 
Entrambi avevano poco più di vent’anni.
 
Un giovane della destra più fanatica, propagandista di una cultura parafascista, è stato ucciso con precisione chirurgica da un coetaneo, accecato da una folle e distorta idea di antifascismo.
 
Chi ha sparato, da un fucile di precisione appostato a cento metri di distanza dal palco dove era seduto il giovane “fascista” dichiarato, sapeva bene che stava condannando a morte non solo lui, ma anche se stesso. Il ventenne che ha compiuto quell’atto, consapevole della reazione che avrebbe scatenato, ha imposto la propria morte a quella dell’altro. Non poteva non sapere che non sarebbe mai potuto uscire indenne da quell’azione. Né libero. Né, in senso pieno, vivo.
 
Non in quest’America, che sempre più interpreta il diritto secondo la logica della forza e della vendetta, e che nella punizione cerca l’afflizione più grande.
 
Questa è l’America che, con durezza crescente, abbraccia la cultura della morte come naturale conseguenza della violenza. Un’America dove il potere politico si alimenta e si ravviva proprio nella violenza, e che vede un Presidente progressivamente accentratore, intento a smantellare i livelli istituzionali e i contrappesi che limitano il potere del capo dello Stato e ne orientano il cammino all’interno della sicura strada della bella Costituzione di quel paese, guida del mondo occidentale.
 
La preoccupazione da ieri è enorme: il modello americano, da sempre esportatore nel mondo di democrazia e libertà, rischia ora di diventare esempio e giustificazione per altri Paesi già inclini all’autoritarismo. Con un Presidente così, l’internazionale della destra autoritaria potrebbe trovare finalmente la forza che aspettava per affermarsi.
 
Specialmente in Europa. E questo segnerebbe davvero la fine dell’Europa come realtà democratica, libera, coesa, indipendente. L’Europa che per decenni ha rappresentato una forza di interposizione tra le due superpotenze: quella americana e quella cinese, con in mezzo la Russia di Putin, ancora aspirante impero.
 
C’è poi il timore che, con questa nuova logica muscolare del potere, gli Stati Uniti si trasformino in uno “Stato forte”, dove il potere si esprime anche come forza fisica, limitando le libertà fondamentali — a cominciare da quelle dell’informazione e della cultura — e riducendo l’autonomia di università e scuole. Affermando pienamente soltanto la forza dell’economia, anche come potere di controllo della politica, delle istituzioni, e di tutti gli strumenti del nuovo potere e della comunicazione.
 
Sottovalutare, come Europa e come Italia, questa deriva autoritaria, sarebbe un errore persino più grave di quello già commesso in questi anni, quando si è fatto finta di non capire — o si è compreso fin troppo bene — ciò che si stava preparando sul terreno di una nuova cultura della morte. Lo si è visto nello scenario russo-ucraino, lo si vede in Medio Oriente, divenuto ormai un inferno.
 
Oggi c’è nuovamente bisogno di una mobilitazione delle coscienze, ovunque. Della unione delle generazioni che, sui valori della libertà e della democrazia, si sono affermate come soggetti politici attivi di resistenza e cambiamento. Per salvare questo mondo impazzito. E per conservare, in una società sempre più materialista, cinica e indifferente, una qualche idea di libertà.
 
Quella libertà che in Europa abbiamo conosciuto grazie alla lotta antifascista, al rifiuto della guerra e alla resistenza contro la cultura della morte insita nel nazifascismo. La stessa cultura che oggi vediamo rinascere, in altre forme, in ideologie estremiste di segno opposto.
 
Come, con le dovute proporzioni e distinguo, si rischia che accada oggi in America.
 
Quell’America che, un tempo, disegnava nuovi orizzonti per tutti. E che oggi, invece, sembra aver perso il suo fascino. In un mondo smarrito quel vuoto di democrazia, che si potrebbe ancora allargare, sarebbe totalmente riempito dall’odio, dall’idea della morte . E della conseguente affermazione della guerra come mezzo per mantenere sempre più distanti i pochi straricchi di tutto il resto dell’umanità, stretta sempre più nella morsa della miseria e delle sue sue conseguenti prigionie.
 

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