Claudio Maria Ciacci: "25 Aprile: la memoria selettiva della Resistenza e le verità rimosse"

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images Claudio Maria Ciacci: "25 Aprile: la memoria selettiva della Resistenza e le verità rimosse"

  17 aprile 2025 17:16

di CLAUDIO MARIA CIACCI

 Questo articolo viene pubblicato a pochi giorni dalle celebrazioni del 25 aprile, in un momento in cui, più che mai, è necessario interrogarsi sul significato profondo di questa ricorrenza.

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Anche quest’anno, a Catanzaro e nelle altre province calabresi, si svolgeranno le consuete celebrazioni del 25 aprile. Corone d’alloro, discorsi istituzionali, manifestazioni organizzate in nome della “liberazione”. Ma mentre si ripete questo rituale, sorge spontanea una domanda: cosa stiamo davvero celebrando? È una ricorrenza nazionale, oppure resta, nei fatti, una commemorazione ideologica appannaggio di una sola parte politica?
Ogni anno, il 25 aprile viene raccontato come il giorno della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, e la sinistra si autoattribuisce il ruolo di eroina unica della democrazia. Tuttavia, la realtà storica è ben più articolata, e spesso volutamente ignorata.

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Innanzitutto, il contributo alla “liberazione” passò anche da accordi moralmente ambigui. Come quello stretto tra gli Alleati e Lucky Luciano, noto boss mafioso, per facilitare lo sbarco in Sicilia. Una “liberazione” che si appoggiò consapevolmente alla criminalità organizzata. Non a caso, noti capi mafia vennero nominati sindaci di diversi comuni siciliani sotto l’amministrazione militare alleata. Una legittimazione istituzionale della mafia che ancora oggi resta una macchia sulla narrazione ufficiale dell’epoca.
All’interno dei confini italiani, la Resistenza fu tutt’altro che compatta. Le Brigate Garibaldi, espressione del Partito Comunista, avevano obiettivi che andavano ben oltre la lotta contro il nazifascismo: miravano alla rivoluzione proletaria, sull’esempio dell’URSS. La loro visione dell’Italia post-fascista era tutt’altro che democratica. Lo dimostra tragicamente la strage di Porzûs, dove i partigiani comunisti trucidarono i membri della Brigata Osoppo, colpevoli di essere patrioti, cattolici e non allineati all’ideologia rossa.

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In questo contesto, si inserisce anche un altro capitolo oscuro: la partecipazione di reparti della Brigata Garibaldi alle deportazioni e agli eccidi delle Foibe, collaborando con le truppe titine in operazioni di pulizia etnica contro la popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia. Una pagina spesso ignorata, rimossa dai racconti ufficiali, ma ampiamente documentata da fonti storiche e testimonianze dirette.
Anche il racconto dei martiri è selettivo. I fratelli Cervi, ormai simbolo nazionale, erano attivisti comunisti che volevano un’Italia modellata sul socialismo rivoluzionario. Nulla da obiettare sul loro sacrificio, ma perché si celebra solo una parte? I fratelli Govoni, uccisi barbaramente dai partigiani a guerra finita da tempo, furono massacrati e depredati, come dimostrano i processi regolarmente celebrati. Vittime dimenticate dalla memoria collettiva, perché la loro storia non si adatta alla narrazione dominante.
Nel frattempo, nelle scuole si continua a trasmettere una visione parziale della storia, dove la Resistenza è mitizzata in chiave ideologica e ogni alternativa interpretativa viene liquidata come revisionismo. Le giovani menti vengono formate a una memoria unilaterale, più utile a consolidare un'identità politica che a comprendere la complessità del passato.

E arriviamo ai giorni nostri. Invece di trasformare il 25 aprile in una data di riflessione condivisa e aperta, si continua a difendere un’egemonia ideologica. L’ANPI, che si presenta come custode della memoria resistenziale, non perde occasione per delegittimare chiunque osi porre domande o avanzare critiche. Fino ad arrivare – come purtroppo accaduto – a invocare “schiaffi” contro studenti che esprimono dissenso. Un linguaggio inaccettabile, soprattutto da parte di chi si professa erede di una battaglia per la libertà.
Il 25 aprile può e deve avere un senso anche per chi non si riconosce nel mito resistenziale così come è stato costruito e tramandato da una certa parte politica. Serve coraggio per dire che la storia non è mai bianca o nera. Serve onestà per riconoscere che la libertà, quella vera, nasce dal confronto, anche duro, ma mai ideologicamente preconfezionato. L’Italia merita una memoria più completa, più sincera, e meno strumentale.

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