di CLUDIO MARIA CIACCI
Sono passati anni da quel tragico 14 aprile 2004, giorno in cui Fabrizio Quattrocchi perse la vita in Iraq, assassinato dai suoi rapitori islamici. Ma il suo ricordo vive, più forte che mai, nel cuore degli italiani che credono nei valori di onore, patria e dignità.
Fabrizio non era un soldato. Era un uomo comune, un lavoratore, uno di noi. Era partito per l’Iraq come contractor, in cerca di opportunità, con il coraggio che ha sempre contraddistinto la gente del popolo italiano. E proprio quel coraggio, in un momento che avrebbe spezzato chiunque, lo ha reso immortale.
Le sue ultime parole, pronunciate con fierezza davanti ai suoi carnefici, restano incise nella memoria di una Nazione: “Vi faccio vedere come muore un italiano.” Non ci fu pianto, non ci fu supplica. Solo lo sguardo alto e il petto in fuori, simbolo di un'identità nazionale che rifiuta di piegarsi. La sinistra, troppo spesso pronta a relativizzare, a giustificare o a dimenticare, ha impiegato anni prima di riconoscere in lui un simbolo. Ma per noi, Fabrizio lo è sempre stato: un martire della libertà, un uomo che ha scelto di morire in piedi, piuttosto che vivere in ginocchio.
Ogni 14 aprile, chi ama l’Italia e i suoi valori dovrebbe fermarsi un istante e ricordare Fabrizio. Perché il sacrificio degli eroi non può finire nell’oblio. Perché la nostra identità, il nostro orgoglio, si nutrono anche di gesti come il suo. Fabrizio Quattrocchi non è morto invano. Vive in ogni italiano che non ha paura di essere italiano.
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