Conidi Ridola: "Sovraindebitamento: la legge che salva chi è caduto e dimentica chi ha fatto di tutto per non cadere"

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  10 dicembre 2025 10:32

 
di M.CLAUDIA CONIDI RIDOLA *

La disciplina sul sovraindebitamento, introdotta dalla legge n. 3 del 2012 e oggi confluita nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, è nata come risposta all’esigenza sociale di offrire una seconda possibilità a consumatori, famiglie, professionisti e piccoli imprenditori travolti da debiti divenuti insostenibili a causa di eventi indipendenti dalla loro volontà. Il legislatore ha individuato alcuni criteri essenziali per consentire l’accesso alla procedura: il debitore deve trovarsi in una situazione di squilibrio economico non temporaneo, deve essere impossibilitato a far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, non deve avere colpe gravi nella formazione del debito, deve dimostrare una condotta improntata alla correttezza e, soprattutto, deve provare di non aver agito con dolo, malafede o colposa leggerezza nel ricorso al credito. L’idea è chiara: lo Stato interviene per chi è già caduto e per chi è caduto senza un comportamento riprovevole. La procedura, infatti, si rivolge soltanto al debitore insolvente incolpevole, non a chiunque sia in difficoltà. Il giudice, prima di concedere l’esdebitazione o l’omologazione del piano del consumatore, verifica che il debitore non abbia contratto finanziamenti sproporzionati per imprudenza, che non abbia occultato beni, che non abbia deliberatamente trascurato le proprie obbligazioni contando sulla futura possibilità di cancellare i debiti. Solo chi dimostra di essere stato vittima di eventi esterni, e non di comportamenti irresponsabili, può accedere al beneficio estremo della liberazione dai debiti.

Ma a fronte di questa tutela mirata, emerge con forza un problema che la normativa non affronta: il legislatore non ha previsto alcuna protezione per il cosiddetto debitore virtuoso, ossia colui che ha sempre pagato regolarmente il mutuo, ha rispettato ogni scadenza, ha evitato il ricorso eccessivo al credito, ha mantenuto comportamenti finanziari equilibrati e prudenti. Questa figura, pur rappresentando il modello ideale di cittadino responsabile, diventa paradossalmente la meno tutelata dal sistema. Se il debitore virtuoso viene colpito da un imprevisto — una malattia, una temporanea riduzione del reddito, una spesa urgente — e si trova anche solo momentaneamente nell’impossibilità di pagare una o due rate, non può accedere alla procedura di sovraindebitamento perché non è tecnicamente insolvente né sovraindebitato. La normativa non gli riconosce alcun vantaggio per la condotta pregressa, non gli garantisce un diritto alla rinegoziazione obbligatoria, non gli offre un fondo di sostegno generalizzato, non gli permette di chiedere una sospensione giudiziale del mutuo se non nei limiti già previsti per categorie particolari. In pratica, ciò che al debitore incolpevole viene riconosciuto come tutela riparatoria, al debitore virtuoso non viene riconosciuto in via preventiva. Esiste dunque una evidente asimmetria: per accedere al sovraindebitamento occorre essere già caduti in una condizione di grave crisi economica, dimostrando impossibilità persistente a pagare e allegando documentazione che attesti la meritevolezza; per non accedere, basta essere stati troppo diligenti, troppo regolari, troppo attenti a non indebitarsi oltre le proprie possibilità. La normativa, infatti, non contempla alcun criterio che premi chi non ha mai generato un rischio, concentrando la protezione solo su chi rappresenta un potenziale danno sociale. È come se lo Stato intervenisse soltanto quando il crollo finanziario del singolo rischia di generare ricadute sul tessuto sociale, economico o familiare, ma non intervenisse quando quel crollo, grazie alla serietà del debitore, potrebbe ancora essere evitato con strumenti minimi di prevenzione.


Il debitore virtuoso non ha modo di accedere a riduzioni del debito, non può proporre un piano giudiziale sostenibile, non può ottenere l’esdebitazione, non ha un istituto costruito per agganciare le difficoltà iniziali e impedirne l’esplosione. La banca può concedere unilateralmente una rinegoziazione, ma non è obbligata a farlo; il mutuatario che cade in ritardo può immediatamente subire segnalazioni, decadenze dal beneficio del termine, contenziosi e procedure esecutive che rischiano di far saltare un equilibrio costruito con anni di sacrifici. Così, mentre il debitore insolvente incolpevole, rispettati i criteri di accesso, può proporre un piano sostenibile e ottenere lo stralcio della maggior parte dei debiti, il debitore virtuoso può perdere la casa per un ritardo di poche rate, senza che lo Stato abbia predisposto alcuna forma di protezione adeguata.

Questa disparità tra chi merita e chi non accede alla tutela proprio perché è stato meritevole non può essere ignorata. Il sistema appare sbilanciato: tutela chi è già precipitato nella crisi, ma non impedisce che vi precipiti chi si è sempre comportato responsabilmente. Una riforma sarebbe dunque auspicabile, affinché il merito creditizio non resti un concetto astratto ma diventi un parametro giuridicamente rilevante, capace di attivare strumenti preventivi come la sospensione temporanea delle rate per eventi imprevisti, la rinegoziazione obbligatoria in presenza di comprovata storia virtuosa, fondi di garanzia per famiglie e mutui in difficoltà transitoria, e un accesso più ampio a misure di riequilibrio prima che la crisi diventi irreversibile. Solo integrando la normativa con queste tutele mancanti si potrà superare l’attuale vuoto legislativo e costruire un sistema equo, in cui non si premi soltanto l’emergenza, ma anche il comportamento responsabile, permettendo a tutti — virtuosi e incolpevoli — di rimanere parte del tessuto sociale e produttivo senza essere schiacciati da un evento imprevedibile o da un ritardo mome ntaneo che oggi, per il debitore più corretto, può valere più di una condanna che di una colpa.


*Avvocato


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