Coronavirus. La violenza domestica non si ferma. Le difficoltà dei centri antiviolenza: "Meno telefonate perché le donne hanno più paura"

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Immagine di archivio

Un confronto con Roberta Attanasio, delegata del Centro Antiviolenza "R.Lanzino" di Cosenza

  09 aprile 2020 07:14

di GIORGIA RIZZO

Restare a casa è la regola, anzi il dovere, nell'attuale situazione di emergenza sanitaria. Lo è anche per chi a casa non è al sicuro, già da prima che il virus facesse la sua comparsa nella nostra storia collettiva. E l'emergenza si conferma un'altra, costante: la violenza consumata proprio fra quelle mura di casa che dovrebbero proteggere. Ancora più grave quando la voce delle donne che la denunciano si affievolisce perché i contatti con l'esterno diventano più difficili, diradati, lasciando spazio ad un profondo e sofferto isolamento. 

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La difficoltà è anche di chi dovrebbe occuparsi di aiutare le donne in cerca di aiuto. Associazioni e centri antiviolenza che non possono avere contatto diretto con chi chiede assistenza. Così l'aiuto in sede viene sostituito dall'aiuto telefonico, come spiega Roberta Attanasio, delegata del Centro Antiviolenza "Roberta Lanzino", attivo nella zona di Cosenza. Così è ancora possibile ascoltare il bisogno, mettendo a disposizione le proprie esperte e offrendo un servizio di aiuto psicologico e assistenza legale. Diventa necessaria la mediazione di alcuni referenti, che possano permettere al Centro di aiutare la donna anche a distanza, indirizzandola ad alcune figure in vari ambiti. Questa una richiesta del Centro Lanzino alla Prefettura di Cosenza, che non ha ricevuto riscontro. "Siamo al punto zero" ha affermato la delegata Attanasio. 

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Diventa più difficile per la donna che subisce violenza essere accolta in una casa rifugio. Sebbene la violenza domestica rappresenti una situazione di necessità per cui è possibile spostarsi dal proprio comune, molte case di accoglienza non si rendono disponibili per far trascorrere la quarantena a nuove ospiti. Un problema che esiste sul nostro territorio mentre molto meno in altre parti del nord Italia. Così è la Prefettura ad occuparsene, spesso espropriando altre case per predisporle all'accoglienza. Dal punto di viste legale, invece, si può chiedere l'allontanamento del coniuge dall'abitazione. 

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Il tutto in un contesto in cui i Centri Antiviolenza a livello nazionale sono fortemente de-finanziati. Per fronteggiare meglio la violenza di genere arriva quindi la richiesta di maggiori fondi, attesi ormai da tempo. A livello territoriale si riscontra invece la difficoltà di costruire una rete collaborativa tra enti. 

Intanto le chiamate di donne che cercano aiuto sono diminuite. "Questo non perché le violenze siano improvvisamente finite ma più verosimilmente perché aumenta il timore di farsi scoprire e di subire ripercussioni dal proprio coniuge", spiega Attanasio. "Continuano infatti ad arrivare segnalazioni da parte dei vicini che intanto diventano più attenti, rimanendo a casa, di rumori e urla che denotano violenze".

Il virus quindi non cancella ma anzi appesantisce situazioni di per sé emergenziali, che diventano più silenti, che fanno meno notizia, ma che non cessano di essere urgenti e reali, e che reclamano di essere ancora al centro dell'attenzione collettiva. 

 

 

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