di STEFANIA VALENTE*
Promuovere il benessere dei ragazzi in una prospettiva di equità e giustizia sociale richiede indubbiamente una proficua collaborazione tra famiglie e servizi scolastici. E che il rilancio sociale ed economico di un Paese passi dal rafforzamento del sistema educativo, quale principale strumento per promuovere una società giusta ed equilibrata, ce lo ricordano anche le Nazioni Unite che, nell’Agenda 2030 sullo Sviluppo Sostenibile, stabiliscono la necessità di assicurare un’istruzione di qualità, permanente ed inclusiva.
Ma come sta la nostra scuola? Questa domanda acquista oggi maggiore rilevanza di fronte alla crisi innescata dalla pandemia posto che l’Italia si è trovata in una situazione di maggiore debolezza rispetto ad altri paesi, anche in conseguenza di vent’anni di bassa crescita che hanno portato ad investimenti in educazione e ricerca ben al di sotto della media dei paesi OCSE. Se la scuola, come diceva Franklin D. Roosevelt, “deve essere l’ultima spesa su cui l’America è disposta ad economizzare”, in Italia la politica ha seguito strade diametralmente opposte.
Ma come stanno i nostri ragazzi, alle prese con didattica in presenza e a distanza, scuole aperte, scuole chiuse, programmi da completare e calendari da rispettare? Di certo la nuova realtà ha inciso in maniera determinante sul loro sentire, innescando nuove paure ed alimentando una nuova solitudine. Quella che colpisce giovani già in difficoltosa ricerca di un’identità che troppo velocemente si forma ed altrettanto velocemente si trasforma in quell’“IO” giovanile, che rischia di essere ancora più fragile e solitario in mancanza di quel “NOI” essenziale che è fatto dal gruppo dei pari e dalla società vibrante. Il blocco delle attività didattiche in presenza non ha potuto compensare in termini di efficacia la mancata presenza fisica negli ambienti educativi, ma ha certamente consentito quella continuità didattica che in un’era non digitalizzata non si sarebbe potuta realizzare.
Ed è così che dirigenti e docenti, nerbo del sistema scolastico, hanno sviluppato nuove competenze ed abilità tecnologiche, valorizzando il ruolo della scuola come momento di crescita e maturazione culturale e personale. Tuttavia, mentre la quasi totalità del mondo scolastico, in questo clima di incertezza generale, si è sforzata di entrare nel vissuto angoscioso dei nostri ragazzi, portati in una guerra che di certo non hanno voluto e senza armi proprie per combatterla, alcuni istituti, accentuando una tendenza già registratasi da diversi anni e smarrendo la loro storica autorevolezza, hanno subito la decimazione di intere sezioni ed assistito inermi ad un’emigrazione studentesca, verso altre scuole, dalla portata allarmante. Ciò richiederebbe un’indagine approfondita sulle motivazioni di tale preoccupante fenomeno, da parte sia dei dirigenti sia delle autorità competenti, perché se è vero che “un buon insegnante colpisce per l’eternità” (Henry Brooks Adams), ancor di più quello “cattivo” merita una citazione di primo piano nel libro dei ricordi. Le famiglie, sempre più attente alle questioni scolastiche, scelgono quegli istituti nei quali qualificati livelli laboratoriali e sistemi tecnologici avanzati di stampo europeo convivono con un’elevata qualità dell’accoglienza e dell’offerta formativa. Anche Catanzaro, benché non sia esente dalle criticità sopra evidenziate, ne possiede di importanti. E ciò va ascritto, sicuramente, al merito di quei dirigenti dalle grandi visioni e dalle accertate competenze, che investono non solo sul terreno dell’organizzazione degli spazi e delle strutture, ma anche e soprattutto sul piano della contemporanea formazione dei docenti e degli studenti, per una nuova scuola che vada oltre la fase durissima che tutto il Paese sta attraversando.
*avvocato
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