Ennesima aggressione nel Carcere di Catanzaro, Tulelli: “È ora di dire basta”

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Rita Tulelli
  16 agosto 2025 12:39

di RITA TULELLI

L’ennesima aggressione subita dal personale della Polizia Penitenziaria all’interno della Casa circondariale “Ugo Caridi di Catanzaro, proprio nel giorno di Ferragosto, non può e non deve passare sotto silenzio. Due agenti, mentre svolgevano il loro servizio, sono stati brutalmente colpiti con pugni, schiaffi e calci da un detenuto in evidente stato di ubriachezza, che non ha esitato a minacciarli di morte.

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Ancora una volta, uomini e donne in divisa che garantiscono la sicurezza dietro le sbarre hanno pagato sulla propria pelle il prezzo di un sistema che troppo spesso sembra dimenticarli. Non è tollerabile che chi presta servizio in prima linea venga lasciato senza adeguata tutela, esposto a rischi quotidiani che potrebbero e dovrebbero essere prevenuti. La vicenda è ancora più grave se si considera che il detenuto responsabile dell’aggressione non è nuovo a comportamenti violenti.

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Eppure, nonostante i precedenti disciplinari, era collocato in un reparto a “trattamento intensificato”, cioè un settore che dovrebbe essere riservato a chi dimostra collaborazione e volontà di intraprendere un percorso rieducativo. Una contraddizione che lascia sgomenti e che alimenta la sensazione di un sistema penitenziario che troppo spesso sembra privilegiare i diritti dei detenuti a scapito della sicurezza del personale. C’è poi un altro nodo che non può essere ignorato: come è possibile che l’alcol circoli ancora all’interno delle carceri italiane?

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La presenza di sostanze che alterano i comportamenti in un contesto già delicato come quello penitenziario rappresenta una bomba a orologeria, pronta a esplodere da un momento all’altro. E quando esplode, come accaduto a Catanzaro, a farne le spese sono gli agenti penitenziari.

L’Unione Sindacati di Polizia Penitenziaria ha giustamente chiesto l’immediato trasferimento del detenuto e misure più concrete per arginare anzi, per prevenire episodi simili. Ma questa non può restare l’ennesima denuncia destinata a cadere nel vuoto. Servono azioni rapide e decise da parte delle istituzioni: più risorse, più controlli, più strumenti di protezione per chi lavora nelle carceri.

I poliziotti penitenziari non sono “seconda linea”: sono servitori dello Stato che meritano rispetto e soprattutto sicurezza. Ogni aggressione, ogni insulto, ogni minaccia che subiscono è un colpo inferto non solo a loro, ma all’intera comunità. Perché senza di loro, senza il loro lavoro quotidiano e silenzioso, l’ordine nelle carceri – e di riflesso nella società – non esisterebbe. Quello che è accaduto a Ferragosto a Catanzaro non è solo un episodio di cronaca: è il simbolo di un sistema che va ripensato e corretto, mettendo al centro la dignità e la tutela di chi indossa una divisa. Perché dietro ogni agente c’è una persona, una famiglia, una vita che lo Stato ha il dovere di proteggere.

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